Antonio Conte in queste prime sei gare sulla panchina del Napoli ha già mostrato una proposta di gioco assai fluida. Un’idea tatticamente ambiziosa, che vuole continuare a evolversi. Partendo ovviamente dalla costruzione bassa, senza tuttavia codificarla, alla stregua di un dogma indiscutibile.  A prescindere dal modulo, infatti, la vera arma segreta degli azzurri sembra poter essere l’atteggiamento, sempre orientato a schierarsi su un blocco medio.

Il motivo probabilmente va ricercato nella voglia di non difendersi passivamente. Al contrario, sviluppare una fase di non possesso che consenta ai due offensive player – Kvararatskhelia e Politano (o Neres) – posizionati dietro Lukaku, di muoversi liberamente per “invadere” la trequarti, smarcandosi alle spalle della seconda linea di pressione. Un sistema che però richiede un livello di sintonia e conoscenza tale da coinvolgere tutto il tridente d’attacco, destinato ad associarsi per dialogare nello stretto tra loro. E dopo andare in profondità.

Ma la rivoluzione copernicana intrapresa dall’allenatore riguarda anche la comunicazione. O meglio, il rapporto con l’intero ambiente partenopeo. Se lungo la linea laterale veicola l’impressione di costante frenesia, mai davvero rilassato mentre i suoi si esprimono in mezzo al campo, al termine di ogni match, si avverte una certa onestà intellettuale in ciascuna delle sue dichiarazioni. Una caratteristica che piace a tifosi (e addetti ai lavori), consapevoli che L’Uomo del Salento non li deluderà, con parole scontate e prive di passione.    

L’onestà intellettuale di Conte

Sabato, presentandosi davanti a microfoni e telecamere, ha puntualizzato senza polemiche la giustezza del pareggio: “Dovevamo sfruttare meglio le occasioni che abbiamo costruito. Potevamo e dovevamo fare meglio in fase di finalizzazione. In fase difensiva abbiamo fatto bene, davanti meno”.   

Bisogna riconoscere che storicamente l’approccio comunicativo di Conte talvolta esula la sobrietà. Effettivamente, in passato l’intensità dei toni è cresciuta in maniera esponenziale alla sua incazzatura. Certe prese di posizione quando allenava alla Juve sono rimaste negli annali. Quel “è agghiacciante…”, ripetuto come una nenia quando fu squalificato per omessa denuncia, per esempio, era sinonimo di una naturale schiettezza, che generalmente conquista gli astanti. E come non gli si può voler bene, se bacchetta la dirigenza della Vecchia Signora in tema di mercato, come se fosse un tifoso qualsiasi che si sfoga al bar con gli amici.

Insomma, quando apre bocca, per manifestare il suo disappunto o analizzare tatticamente una partita, il tecnico non eccede mai, scadendo poi nel misero piagnisteo. Il cambio modulo di Torino l’ha spiegato così, con estrema pacatezza: “Non ho schierato il 4-2-3-1 per timore dell’avversario, ma per adattarmi al potenziale della rosa. Col 3-5-2 ammazzerei troppi giocatori. Prima avevamo solo due centrocampisti, poi sono arrivati McTominay e Gilmour ed è stato reintegrato Folorunsho. Abbiamo lavorato molto su questo sistema, che mi sembra più nelle corde della squadra”.

Conte è questo, un uomo di campo, che privilegia il lavoro quotidiano, pur non disprezzando le luci dei riflettori. Affrontate in ogni caso con un atteggiamento mai indirizzato alla chiusura. Anzi, sempre assai costruttivo: quando dice “Lukaku non è ancora in condizione, o almeno nella condizione che pretendo io”, non bacchetta pubblicamente Big Rom, bensì si assume la responsabilità di rimetterlo in condizione nel più breve tempo possibile.

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