Al di là dell’abbondante retorica con cui Mario Giuffredi ha condito la sua conferenza stampa, è utile rilevare come l’intenzione di fare pubblicamente chiarezza sulla questione Di Lorenzo in realtà rappresenti qualcosa di ben diverso. Il malumore del capitano del Napoli, alimentato ad arte dal suo agente, diventa così il simbolo di una vicenda dove presunzione e autoreferenzialità si sono confuse pericolosamente.
Diciamoci la verità: tranne qualche amico scendiletto, in pochi sentivano veramente il bisogno di ascoltare le rivelazioni di Giuffredi. Va sottolineato, tuttavia, che il suo comportamento rientra ormai in un trend consolidato nell’italico pallone. Quindi, non solo all’ombra del Vesuvio. Ovvero, la ricerca costante e pervicace dei procuratori di influenzare la quotidianità dei loro assistiti. E di riflesso, quella di chi li paga profumatamente. Una situazione che testimonia sempre più la necessità dei grandi club, se non di venire a patti con loro, di provare quantomeno a gestirne l’ingerenza. Perché è innegabile che la società partenopea abbia commesso una gigantesca serie di errori nella passata stagione.
Tra questi rientra sicuramente il “caso” Di Lorenzo. Che ha manifestato la disabitudine della proprietà ad affrontare certe dinamiche interne al gruppo. Una consapevolezza che poi ha suggerito l’ingaggio di Antonio Conte, uomo forte (e vincente…) per antonomasia. Con tutto quello che ne è conseguito in termini di autonomia tecnica, e nella composizione del supporting-staff. In tal senso, una figura del calibro di Lele Oriali conferma la voglia di De Laurentiis di accantonare vecchi schemi – la classica conduzione familiare, insostenibile ai massimi livelli -, a favore di una rinnovata mentalità calcistica. Con competenze piramidali e attribuzioni delle responsabilità ben definite.
Insomma, il sasso che ha lanciato Giuffredi è stato sostanzialmente inutile, poiché non ha fatto altro che ribadire l’ovvio. In primis, siamo nell’era dei calciatori “subordinati”, che pendono dalle labbra di chi spesso ne amministra carriera e vita privata senza nemmeno un briciolo di etica. Aggiungiamoci, l’incapacità di Calzona, in questo, mal sostenuto dalla dirigenza, di tenere a freno le numerose tensioni che albergavano nello spogliatoio azzurro. Culminate con la sostituzione del capitano, esposto (chissà quanto volutamente…) al pubblico ludibrio, quando mancavano solamente tre minuti alla fine dell’ultima giornata. E avremo la tempesta perfetta, che s’è materializzata in maniera nefasta nell’anno del post scudetto.
In conclusione: i contratti, inevitabilmente, si trasformano in carta straccia. E sono un rischio per le società, che fanno investimenti milionari soggetti poi a incognite non governabili direttamente dal loro management. Che dopo la Juventus avesse fiutato l’affare, è un altro paio di maniche. Nessuno ha messo in discussione il valore di Di Lorenzo, considerato, non a torto, uno dei migliori terzini d’Europa fino a qualche mese fa. Perfettamente a suo agio in fase propositiva, quando aggredisce la profondità. Oppure sotto la linea della palla, in marcatura e copertura. Talmente importante nell’economia del gioco moderno, da convincere Conte a usarlo in sistemi diversi, adattandolo magari pure in qualità di “braccetto” desto.
Il punto è che, nel calcio contemporanea, certi criteri non hanno più una valenza assoluta a causa di comportamenti come quelli di Giuffredi, che guarda all’oggi piuttosto che al domani. E antepongono la convenienza economica, personale e dei loro clienti, ad altri parametri. Che invece nella carriera di un professionista dovrebbero essere fondamentali.
Qua non si vuole stimolare il solito pippotto morale, buono per le favole e null’altro; l’approccio non deve essere retorico, bensì virtuoso e globale. Il problema rimane la mancanza di coraggio di società, Istituzioni e degli stessi calciatori, sempre più condizionati da figure che drenano denaro all’esterno del “Sistema”, senza reinvestirlo, rischiando nulla e distribuendo profitti esclusivamente a sé stessi. L’unica strada possibile è saper resistere alla prepotenza. E se proprio non si può vietare ai giocatori di farsi tirare i fili, manco fossero marionette al teatrino dei pupi, almeno si obblighino a rispettare gli accordi (vantaggiosissimi…) sottoscritti liberamente. D’altronde, Conte docet: “Se qualcuno non è contento, si mette al mio fianco e gli troviamo qualcosa da fare…”.
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