Nella stagione fallimentare del Napoli sicuramente Khvicha Kvaratskhelia avrebbe dovuto fare di più. D’altronde, è quello che tifosi e addetti ai lavori pretendevano, dopo avergli affibbiato l’etichetta di potenziale fuoriclasse generazionale.
Non è la prima volta che il georgiano finisce in copertina. Però, quest’anno a tratti davvero imbarazzante, per i motivi sbagliati. Perché la mediocrità di certe prestazioni è stata vincolata dal modo in cui i tre (sic…) allenatori che si sono alternati sulla panchina degli azzurri l’hanno utilizzato. Innegabile che pur se schierato nella classica posizione sulla sinistra, a piede invertito, l’interpretazione data al ruolo imposta dalle scelte tattiche probabilmente ne ha limitato il rendimento. In effetti, vederlo ai margini del gioco ha veicolato spesso la sensazione che il suo talento venisse represso. Se non addirittura sprecato.
Facciamo per un attimo un passo indietro. E soffermiamoci brevemente sul 4-3-3 in cui, come da manuale, chi attacca tendenzialmente cerca di tenere due esterni assai aperti, accompagnati nei corridoi intermedi dalle mezzali e la punta al centro. In fase offensiva, un sistema dall’indole già decisamente proattiva, si struttura poi in una sorta di 3-2-4-1. Peccato che Garcia, Mazzarri a Calzona abbiano faticato a superare i loro stessi limiti. Pregiudicando la possibilità ai Campioni d’Italia di esprimersi al meglio.
Garcia troppo rigido
La rigidità mentale del francese, infatti, aveva obbligato il Napoli ad assumere un blocco medio, abbassando notevolmente il baricentro della squadra rispetto alla esperienza scudetto. Uno scenario dove Anguissa e Zielinski rimanevano bloccati a centrocampo, per prevenire eventuali transizioni. Allontanandosi dall’idea di arrivare a Kvaratskhelia attraverso la costante collaborazione del terzino. Senza cioè cavalcare i princìpi tipicamente spallettiani del gioco in catena, con Mario Rui (oppure Olivera) che lo sostenevano adeguatamente, sovrapponendosi o venendo dentro, interscambiandosi proprio con la mezzala di parte. L’ex Roma e Lione, dunque, ha provato a stimolare il numero 77 in ampiezza. Peccato che il mancato supporto dei compagni, chiamati ad accorciare celermente in zona palla, abbiano segnato il suo destino. Ricevendo distante dal resto della squadra, la situazione non gli consentiva margini di manovra. Facendolo puntualmente raddoppiare, causa una postura statica, che gli impediva di ruotare e isolarsi nell’uno contro uno.
Mazzarri e Calzona limitanti
Mazzarri ha tentato di coinvolgere maggiormente il georgiano tra le linee, permettendogli una dose massiccia di libertà affinché potesse stringere nel mezzo spazio. Il pragmatismo del toscano gli suggeriva di accentrarsi, così da ottenere il passaggio in maniera più dinamica, sulla corsa, e privo di marcatura asfissiante a mordergli le caviglie. Un calcio magari più lineare, ma sulla carta tremendamente efficace. A farlo crollare come un castello di carte, l’assenza prolungata di Osimhen, fulcro su cui avrebbe dovuto girare l’intero sistema, attraverso il gioco spalle alla porta del nigeriano. Appoggiandosi sui suoi proverbiali strappi a sbranare la profondità per aggredire il campo velocemente.
Con il commissario tecnico della Slovacchia, Kvara è tornato a calpestare stabilmente la fascia. L’intenzione di Calzona, consapevole che la versione ideale di Khvicha sia quella vista durante la gestione dell’Uomo di Certaldo, era riprodurre pedissequamente le medesime tracce seguite la stagione scorsa. Ergo, associarlo continuamente ai compagni, tutti vicini tra loro, favorire il dialoga sul breve e avanzare con le triangolazioni. Ma ormai il gruppo aveva tirato i remi in barca, spento il cervello prim’ancora che tirato il freno sul piano squisitamente calcistico, in attesa solamente delle vacanze post campionato.
Sostanzialmente, se il premio come MVP della Serie A 2022/23 aveva fatto credere che Kvaratskhelia poteva sempre togliere le castagne dal fuoco, trovando la scintilla per accendere la miccia del suo calcio ipercinetico e qualitativo pure in quest’annate tribolatissima, sembra invece che la stagione gli sia passata oltre. Orfano di un allenatore che ne mettesse in primo piano le caratteristiche tecnico-tattiche. Adesso il Napoli deve avere chiarezza d’intenti: per il georgiano ci vuole una squadra che si accampi nella trequarti avversaria. Che domini il possesso e crei occasioni per accumulazione di uomini, invadendo molto in alto lo spazio altrui. Insomma, uno come l’attuale C.T. dell’Italia.
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