E’ innegabile che l’Italia stia attraversando un momento storico assai difficoltoso. Una situazione che riflette i suoi effetti nefasti pure sui risultati della “nuova” Nazionale, quella che deve qualificarsi per il prossimo Europeo, di cui detiene il titolo.
Negli ultimi 15/20 anni, la qualità media dei giocatori che produce l’italico pallone, dunque, potenzialmente arruolabili per vestire l’Azzurro, si è abbassata drasticamente.
Inutile tentare di arrampicarsi sugli specchi, il ricorso massiccio e indiscriminato a risorse straniere, talvolta frutto di interessi economici se non addirittura mere speculazioni di mercato, hanno contribuito a restringere un bacino che s’è ristretto costantemente ogni stagione che passa.
In questo scenario, avere tre squadre – meritatamente – ai Quarti di Champions League, potrebbe rappresentare paradossalmente un’aggravante. Perché tali risultati devono considerarsi estemporanei e tutt’altro che programmati. Tuttavia, veicolano l’illusoria sensazione che il nostro paese si stia avviando verso la ripresa.
Altro che rinascita: il movimento è in fase di stagnazione!
Forse sarebbe il caso che l’intero comparto, in primis la Federazione, affrontino con coraggio la dura realtà, piuttosto che nascondere la testa sotto la sabbia, come il più pavido tra gli struzzi.
I vertici dell’organo istituzionalmente deputato a tutelare gli interessi del “Sistema” nel suo complesso, una piramide elefantiaca, che ha smesso di crescere da troppo tempo, dovrebbero riconoscere i loro macroscopici errori gestionali.
Fino a quando persisterà l’errata convinzione che l’Italia incarni calcisticamente la locomotiva d’Europa, continueremo a peccare di presunzione. Senza accorgerci, invece, che la concorrenza ci ha già abbondantemente superato.
Perché i tempi sono cambiati da un bel pezzo. Mentre dirigenti incompetenti e vecchi dinosauri dell’ancien régime si limitano a giustificarsi con il solito ritornello. Ovvero, che la Premier ha più soldi, e la Bundesliga impianti all’avanguardia.
Bisogna quindi accettare di non essere ormai i “depositari del verbo”. Partendo innanzitutto dal presupposto che gli splendori degli anni ’80 e ’90 hanno lasciato il posto alle miserie attuali.
Valutando il peso specifico del fallimento rappresentato dalla doppia mancata qualificazione agli ultimi due Mondiali; soprassedendo, almeno in questa sede, sulle figure barbine rimediate nelle due edizioni precedenti.
Insomma, il cambiamento va progettato, non soltanto immaginato nella testa di antiquati burocrati, che reiterano la loro tirannia attraverso idee obsolete. Vivere sulla tradizionale rendita di posizione garantita dai famigerati diritti televisivi non è affatto innovativo.
Al contrario, equivale a svendere il futuro del calcio italiano sull’altare del business, buono esclusivamente per tirare a campare ancora qualche annetto e poco altro…
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