Il Lecce è sicuramente la sorpresa di questo inizio di campionato, capace di realizzare ciò che molte società costruite per salvarsi sognano di fare. E perciò finora ha stupito la critica, in virtù di un atteggiamento tattico mai rinunciatario. Uno stato di grazia lontano dall’essere un mero fuoco di paglia, in grado di consentire ai salentini di giocarsela, senza speculare, anche contro il Napoli.
Al cospetto di quella che, in questo momento della stagione, probabilmente è una delle squadre più coraggiose ed efficienti dell’intera Serie A, ha pagato dunque dividenti l’idea di Garcia, funzionale a prendere i tre punti già contro l’Udinese. Ovvero, adattare il gioco alle caratteristiche degli uomini in rosa. Una cosa non così assurda, specialmente se la classifica dovesse continuare a rimanere interessante fino alla fine come adesso.

Sarebbe miope, infatti, non rimarcare la bontà della strategia scelta dall’allenatore francese. Pressing alto, organizzato e intenso, nel primo tempo, per i Campioni d’Italia, con Simeone a fare da riferimento in qualità di centravanti posizionale, che “fissa” la retroguardia dei padroni di casa. Al contempo, El Cholito, con grande naturalezza, lavorava sottopalla in maniera aggressiva, rendendo maggiormente solida la fase di non possesso. Poi un secondo tempo col baricentro abbassato, e la possibilità di stimolare nelle ripartenze Osimhen: una sorta di campo gravitazionale nella trequarti giallorossa, il nigeriano, le volte che gli azzurri riconquistavano il pallone e andavano in transizione.
Rivincita Garcia
Una bella rivincita per Garcia. Diciamola tutta, sembrava veramente uno dei principali candidati all’esonero fino a un paio di settimane fa. In pochi avrebbero scommesso su di lui. Considerandolo alla stregua di un “dead man walking”, letteralmente, uomo morto che cammina. Espressione comunemente usata nelle prigioni statunitensi per sottolineare il tragitto che il condannato a morte compie fra la sua cella e la sala dell’esecuzione.

E invece, pur avendo fiducia nelle proprie idee, ha dimostrato di saper decodificare le difficoltà, sfruttando la profondità dell’organico. Una panchina lunga ed eterogenea, che permette al Napoli di cambiare il piano gara, adattandosi all’avversario di turno oppure del momento della partita.
Mettersi nei suoi panni lascia solo immaginare la soddisfazione del tecnico immediatamente dopo il triplice fischio finale al “Via del Mare”.
Certo, qualcosa ha modificato, rispetto alla squadra lunga vista con la Lazio ed a tratti passiva nella doppia trasferta di Genova e Bologna. Palesando di non essere rimasto impassibile di fronte alle implicite richieste del gruppo. In primis, la costruzione bassa come chiave per aprire qualsiasi spazio. Serve come strumento fondamentale per attirare la prima pressione, creando i presupposti per sviluppare un possesso intenso e qualitativo, risalendo il campo palleggiando.
Costruire dal basso
Uno scenario in cui Lobotka rimane la principale opzione nella posizione di pivote, fonte di produzione primaria di ogni decisione all’atto di impostare la manovra. Ovviamente, Garcia ci ha messo pure del suo, aggiungendo ingredienti tattici mutuati dal proprio credo calcistico. Specialmente nell’accantonare la rotazione in mediana.

Insomma, un compromesso tra il Napoli precedente, dall’indole decisamente fluida, e quello attuale, forse un pochino più rigido nella struttura del centrocampo. Che comunque esalta Anguissa e Zielinski. A turno, uno si avvicina allo slovacco, collaborando fattivamente nella direzione del traffico, mentre l’altro si alza, dando un valido aiuto sulla trequarti offensiva.
La raffinatezza della prima costruzione diventa poi devastante nel recapitare la palla negli ultimi sedici metri di campo, consentendo ai tanti offensive players in maglia azzurra di rendersi continuamente pericolosi.
Adesso bisognerà vedere quanti di questi segnali tesi alla rinascita -tecnica ed emotiva – troveranno terreno fertile per attecchire sul medio-lungo periodo. A cominciare dalla gara contro il Real Madrid di martedì.
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