Chiariamo subito una cosa: Garcia è il responsabile principale di questo scempio. Non l’unico, ovviamente. Proprietà e calciatori hanno contribuito a fare in modo che il Napoli non ci provasse nemmeno a difendere lo Scudetto conquistato appena qualche mese fa, stracciando la concorrenza. Ma in larga parte le colpe sono del francese. Utopico dunque non imputargli questo scempio tattico. Attualmente, i Campioni d’Italia non hanno alcuna identità. Altro che principi da assimilare. Gli azzurri sono letteralmente spaesati. E non sanno cosa farsene del pallone, quando ne detengono il possesso. Tutti fermi ad aspettare chissà cosa: le belle statuine sono più dinamiche.

Il problema non è fisiologico. Non si tratta di correre oppure alzare il piede dall’acceleratore per rifiatare attraverso il giropalla. A questa squadra manca l’organizzazione in entrambe le fasi in cui si articola il gioco. Reparti slegati, collettivo inesistente. In sostanza, difende male e attacca peggio. Va per inerzia, puntando sulle giocate dei singoli. Fiammate individuali, sprazzi di talento e poco altro. Perciò soffre al cospetto di chiunque. Grandi (o presunte tali…) e piccine.

Anche oggi, contro un Empoli ben messo in campo e nient’affatto remissivo – merito di Andrezzoli, che testimonia come talvolta cambiare possa solo giovare – il Napoli ha concesso spazi e occasioni. Palesando per l’ennesima partita di essere in grossa difficoltà, a corto di idee e completamente incapace nelle letture.

Il “caso” Mario Rui

Il gol di Kovalenko, magnifico per esecuzione della manovra e finalizzazione, nasce però da un cortocircuito dell’allenatore. Evidentissimo da chi era presente allo stadio, non soltanto in Tribuna Stampa. Durante un corner a favore dei partenopei, Mario Rui si avvicina alla panchina, confabula con Garcia. Si tocca vistosamente l’interno coscia, presumibilmente, accusa un fastidio, o peggio, agli adduttori. Sullo sviluppo del corner, la palla arriva nella trequarti del Napoli. Da qui in avanti, succede l’Edenlandia.

Il terzino portoghese si apre in ampiezza e riceve, con la coda dell’occhio vede l’inserimento di Kvara dietro la linea e ne stimola l’aggressione alla profondità col mancino morbido; quindi, si accascia al suolo. Quando il gioco riprende, zoppica vistosamente, impossibilitato a proseguire. I cambi sono esauriti, così si posiziona claudicante in mezzo al campo, pur essendo palesemente “rotto”. A quel punto, i toscani muovono la palla proprio in quella porzione di campo: palla avanti, palla dietro, imbucata sull’inserimento di Kovalenko, che se la sposta e la mette nel ferro.

Solamente dopo il gol, Garcia ordina l’adattamento, stimolando Cajuste a coprire quella zona specifica. Oltre a tirare fuori l’ormai inutile terzino portoghese…

Non ci resta che piangere

Sembra che adesso Garcia abbia le ore contate. Scelta quasi obbligata, l’esonero. A prescindere da chi eventualmente dovesse subentrare al francese, mentre De Laurentiis riflette su chi ne erediterà presumibilmente la panchina, appare tristemente attuale la situazione in cui si dibatte il Napoli. Nella terra di mezzo, con una prospettiva poco benevola di crescita, almeno nell’immediato futuro.

Salvo suicidi, arriverà seconda nel girone di Champions. Magari poi uscirà agli Ottavi, quando il suo cammino si incrocerà con una “Big” europea. Del resto, è un dato confortato dalle statistiche che quest’anno, negli scontri diretti, ci abbiano rimesso sempre le penne.

A fare davvero paura, tuttavia, è il campionato. La peggiore delle proiezioni, in uno scenario dal finale catastrofico, lascia presagire – per la squadra attuale – grosse difficoltà a piazzarsi nelle prime quattro. Ergo, nonostante l’organico degli azzurri non sia inferiore alle tre “strisciate”, qualificarsi per la prossima Champions non è scontato.  

E se finora lo “stratega d’Oltralpe” non era stato accompagnato all’uscita di Castelvolturno soltanto per mancanza di alternative concrete con cui surrogarlo, i nomi che circolano per prenderne il posto non offrono garanzie sufficienti circa la possibilità di far meglio.

Insomma, per dirla alla Massimo Troisi: “Non ci resta che piangere…”.

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