Nelle giornate in cui la buttava dentro con movenze eleganti e senso del gol, davvero poche a cavallo degli anni Novanta e Duemila, Gionatha Spinesi palesava la sua irrefrenabile gioia allargando e sbattendo le braccia. Una mimica che faceva ricordare il volo ad ali spiegate di un gabbiano. Appioppargli quel nomignolo, dunque, è stato sin troppo facile. Ecco spiegata l’origine del soprannome. Una sfumatura lessicale che l’ha seguito per tutta la carriera.
Gli inizi in tinte nerazzurre
La storia di Gionatha comincia a Pisa, dove nasce il 9 marzo 1978: leggenda narra che prenda il via con una missiva. Nei primi anni ‘80, infatti, è consuetudine del PortaNuova, piccolo club della città toscana, inviare una lettera ai bambini che avevano compiuto il sesto anno di età. I primissimi calci li tira proprio là.
Spinesi dimostra di avere un altro passo rispetto ai coetanei. Una circostanza che si ripeterà con disarmante continuità fino ai sedici anni. A quel punto, la superiorità è talmente evidente da convincere il Pisa a portarselo nel settore giovanile. Sotto la Torre Pendente attraversano un periodo complicatissimo, con il drammatico fallimento e la successiva rinascita. I nerazzurri devono ripartire dalla D. A vederci lungo è l’allenatore, Felice Secondini, che lo fa esordire coi “grandi” nonostante abbia appena 16 anni. Lui sorprende tutti, mettendo a segno 4 reti. Non male per un ragazzino.
“Ho ricordi bellissimi di quel periodo. Giocare con gente importante per la categoria, che aveva calcato ben altri palcoscenici, tipo Gianluca Signorini o Sergio Borgo. Una esperienza formativa, specialmente per chi come me era innanzitutto tifoso del Pisa, che avevo cominciato a seguire da ragazzino. Era un calcio diverso, senza tv. Andare allo stadio era una vera festa. Una emozione che ho poi ritrovato più avanti, quando per esempio salivo la scalinata di stadi prestigiosi, con la curva a fare da cornice“.
Spinesi è un giovane centravanti assai promettente. Potente e fisicato, fiuto del gol e capacità di segnare: testa e piedi, non fa tanta differenza. Naturale attirare le attenzioni dell’Inter, che lo aggrega alla Primavera di Angelo Domenghini.
“In poco più di un anno mi ritrovai catapultato in una realtà completamente diversa dalla città di provincia, passando dalla Juniores del Pisa all’esordito in Serie D, al trasferimento a Milano. Per me era un sogno. Non andavo già più a scuola: passavo le giornate a fare fotocopie nell’ufficio del direttore sportivo, Sandro Mazzola, mentre mi raccontava le sue storie leggendarie. Aneddoti e situazioni che magari da ragazzo fai fatica a comprendere. Poi cresci, maturi esperienze nel mondo del calcio, e capisci quegli insegnamenti. Oltre a giocare con la Primavera mi allenavo tre volte a settimana con la Prima Squadra. Giocai pure qualche minuto in un’amichevole a San Siro contro il Manchester United. Subentrai a Zamorano. Mi fece debuttare Roy Hodgson. Pensavo di essere arrivato nel paese dei balocchi, non volevo più svegliarmi”.
Spinesi scalpita, conscio del suo talento. Desidera fortemente mettersi alla prova. Al contempo, pienamente consapevole di quanto sia dura la concorrenza, tra Zamorano, Ganz e Branca, sa di avere poche possibilità di esplodere. L’ambizione quindi gli suggerisce di andare altrove. Così il diesse lo convoca per discutere del suo futuro: “Abbiamo un’offerta importante dalla Serie B, mi disse. Potrebbe essere una buona occasione. Non gli diedi neanche il tempo di finire. Accettai senza pensarci due volte”.
Andando a Castel di Sangro, neopromosso in Serie B, prima che Mazzola glielo proponesse ufficialmente, Spinesi fa la scelta giusto. Per la sua carriera quel prestito rappresenterà un punto di svolta inaspettato ed emozionante.
La favola “Castello
Dopo la consueta trafila in un vivaio importante, la periferia dell’italico pallone sembra davvero l’occasione propizia per dimostrare interamente quanto vale. “Passai dalla metropoli a una realtà familiare, dove vivevamo quotidianamente in mezzo all’entusiasmo della gente. Bisognava adattarsi all’ambiente, capire la situazione…”). Gli abruzzesi, allenati da Osvaldo Jaconi (“Non ha mai avuto paura di farmi giocare, nonostante in rosa ci fosse un attaccante esperto per la categoria del calibro di Andrea Pistella…”), avevano ottenuto pochi mesi prima una storica promozione dalla C1 nemmeno lontanamente immaginata e lottavano per non retrocedere. Con 3 reti in 20 partite, Spinesi contribuisce alla salvezza del Castel di Sangro. Uno dei più grandi miracoli sportivi mai conosciuti. Talmente sorprendente, da stimolare un giornalista americano, Joe McGinniss, a scriverci un celebre libro: Il Miracolo di Castel di Sangro.
La gioia di sbloccarsi da professionista arriva il 23 febbraio del ’97, contro il Palermo, e decide la sfida coi rosanero (“Tornando indietro con la memoria e rivedendolo, l’emozione è indimenticabile…”). Spinesi, per conquistarsi un posto al sole, ingaggia una battaglia personale con Sicignano. Alla fine, il portiere deve arrendersi (“Lungo lancio dalle retrovie, scattai sul filo del fuorigioco e segnai con pallonetto al volo…”). Non prima di aver stornato una acrobatica rovesciata. Insomma esistono impatti peggiori col calcio che conta.
Gionatha resta in giallorosso anche la stagione seguente. Segnerà 5 reti in 36 partite. Ma è un’annata disgraziata, culminata con la retrocessione. L’arrivo di Franco Selvaggi (“Un allenatore con un gran bagaglio di conoscenze. Da ex centravanti di assoluto livello, era maniacale nello sviluppare situazioni che mettessero difensori e centrocampisti nella condizioni ideali per servire noi attaccanti…”), subentrato all’esonerato Jaconi, non inverte il trend negativo. Comunque, un biennio di gavetta in cadetteria è sufficiente per garantirgli il sospirato ritorno nella massima categoria. Arriva il trasferimento al Bari, reduce da un ottimo undicesimo posto in classifica. Ci rimarrà per ben sei anni, mettendo a segno una valanga di gol: 52, per la precisione.
L’esplosione a Bari
Quando lascia l’Abruzzo alla volta della Puglia, nell’estate ‘98, ormai Spinesi sembra pronto per il massimo palcoscenico. Il Bari di Vincenzo Matarrese è una realtà emergente. Ad allenarlo, un genio incompreso a tratti del calibro di Eugenio Fascetti.
“Carismatico come pochi. Mi ha fatto crescere come uomo, responsabilizzandomi. Sono un espansivo, e lui pretendeva tanto, permettendomi però di rimanere me stesso. Mi ha fatto comprendere che se volevo diventare un giocatore importante, ci volevano altre qualità. Non finirò mai di ringraziarlo per quello che ha fatto per me“.
Inoltre, in Primavera si sta facendo largo un potenziale fenomeno, Antonio Cassano. Il Peter Pan di Bari Vecchia formerà – dal 1999 al 2001 – una straordinaria coppia d’attacco con Spinesi. Poi arriverà la Roma, ma questa è un’altra storia.
“Come Antonio, vengo anche io dalla strada. Che tanto ti leva, ma ti permette pure di crescere senza mai spaventarsi, togliendoti le inibizioni. Dandoti la spavalderia giusta per confrontarsi con i più grandi. Lo vedevi subito, quando si allenava con noi, che era un predestinato. Con ben altre doti tecniche rispetto a tutti gli altri. Ma con grande forza nelle gambe e nel baricentro. Così copriva il pallone e resisteva a qualunque tipo di intervento. Anche le botte che gli rifilava Neqrouz“.
Se a livello numerico forse la prima stagione non fu totalmente convincente, contraddistinta da tempi di ambientamento dilatati: appena 12 partite, segnando però un gol decisivo nel match contro l’Udinese, e col Bari che si classifica al decimo posto, nella stagione successiva il pisano aumenta decisamente il suo minutaggio. Incrementando conseguentemente un bottino di reti, che sale a 5. Uno iconico, lo rifila alla Juventus, nell’ottobre del 1999. Una perla su punizione dal limite, quasi allo scadere, che regala un inaspettato pareggio casalingo ai Galletti.
“Ho sempre avuto un tiro secco e radente. Sapevo che se prendevo la porta, era possibile succedesse qualcosa di buono. Quella volta fui un pò fortunato, perchè il pallone passò tra ultimo e penultimo uomo in barriera, sorprendendo Van der Sar. Quell’anno feci gol un pò a tutte le grandi. Oltre ai bianconeri, pure a Lazio, Milan e Fiorentina“.
L’Europeo con l’U.21
In estate si disputarono gli Europei Under 21. Spinesi, stabilmente nel giro della Nazionale allenata da Marco Tardelli, parte per la Slovacchia come alternativa in attacco alla coppia formata da Ventola e Comandini. Ma è il centrocampo di quella Italia a incutere veramente timore: Cristiano Zanetti, Gennaro Gattuso, Marco Baronio e Andrea Pirlo. Gionatha sigla la rete dell’1 a 0 contro la Turchia, partita poi finita 3 a 1 per gli Azzurrini. Che conquistano la rassegna continentale grazie alla doppietta di Pirlo, nella Finale con la Repubblica Ceca.
“Un grande squadra. Un gruppo unito e compatto, che andava al di là delle individualità e delle carriere che poi molti di loro hanno fatto successivamente. Pirlo faceva ancora il trequartista e aveva una visione di gioco impressionante. Una volta, durante una gara di qualificazione in Russia, mi fece un lancio di 50 metri, intuendo che stavo scattando. Perchè fosse letteralmente girato di spalle…”.
Un ruolino di marcia, nel complesso, nient’affatto banale con l’U.21: 8 presenze arricchite da 5 reti. Con un rammarico, la mancata partecipazione alle Olimpiadi di Sidney.
“In ritiro col Bari mi ero lesionato il menisco esterno. Dovevamo partire quindici giorni dopo per l’Australia. Feci di tutto per recuperare, ma quando Tardelli mi chiese con onestà se, al posto suo, mi sarei convocato, gli risposi negativamente. A peggiorare la situazione, alla quarta di campionato il ginocchio cede di schianto e mi tiene a lungo lontano dal campo. Rientrai giusto in tempo per segnare una doppietta al Vicenza e un gol alla Roma, che si avviava a vincere lo scudetto“.
E pensare che sulla scia del trionfo europeo, il 2000/2001 era iniziato con un mucchio di aspettative. Ma a minare un gruppo partito con altre ambizioni – Matarrese parla addirittura di qualificazione alla Coppa UEFA, dopo il 14° posto dell’anno prima – interviene una sorta di rilassatezza emotiva (“Nei due anni precedenti eravamo arrivati a poche giornate dalla fine a giocarci la possibilità di inserirci in zona Uefa. Probabilmente, affrontammo la stagione poco consapevoli che nessuno ti regala niente. Davamo per scontato che avremmo comunque fatto i punti con facilità. E invece…”). La squadra assorbe negativamente il clima, che mina progressivamente la serenità nello spogliatoio. Alla fine, i biancorossi chiuderanno in diciottesima posizione, retrocedendo in Serie B. Una crisi caduta tra capo e collo inaspettatamente a Spinesi, che a causa di quel doppio problema fisico, segna solamente 3 gol in 8 partite.
La doppia cifra come compagna di viaggio
A questo punto, la storia restituisce l’esatta percezione di cosa sia in grado di fare un attaccante quando si sente in debito con un ambiente restio ad accettare serenamente il declassamento in cadetteria. Del resto, come suggerisce il nickname, Il Gabbiano vola libero. E Spinesi alza lo sguardo al futuro che, in termini pratici, si cristallizza con un triennio in cui si mischiano gioie irrefrenabili. Che vanno oltre i 43 gol complessivi in maglia biancorosso.
“E’ stato il periodo in cui ho conosciuto mia moglie. Giocava a basket e si era rotta il crociato. Ci conoscemmo presso il centro di recupero fisioterapico a Cerreto Sannita. Lei è sempre stata il mio sostegno, la spalla su cui appoggiarmi nelle difficoltà. Mi ha aiutato a vedere con lucidità la via da percorrere nei momenti bui“.
A gennaio 2004, tuttavia, le strade del Bari e del suo centravanti si separano improvvisamente. Un immenso dolore, per Gionatha. Nessuno, infatti, si aspettava che l’idolo della tifoseria, a cinque mesi dalla scadenza del suo contratto, potesse rescindere, senza trasferirsi altrove. Bensì, rimanendo fermo.
“Qualcuno ha strumentalizzato la situazione per mettermi contro i tifosi. Il presidente mi chiese esplicitamente di accettare di andare via a gennaio, perchè la società aveva bisogno di capitalizzare. Fosse stato per me, sino a giugno avrei fatto gol per salvare il Bari. Del resto, ne avevo già fatti 12. Quando però tutte le trattative sfumarono, l’atteggiamento cambiò. Mi proposero di allenarmi, ma senza più giocare. Se non con la Primavera. Per orgoglio, dissi chiaramente che se non mi consideravano indispensabile, mi sarei svincolato. Ho rinunciato ai soldi che mi spettavano pur di non passare come uno che rubava lo stipendio”.
Con tanta forza di volontà per ricominciare a inseguire il sogno della Serie A, Spinesi torna nella sua terra natìa, in Toscana, voluto espressamente da Pasquale Marino, al tempo allenatore del neopromosso Arezzo. Si rivela il luogo perfetto per rinascere. Con la maglia amaranto Gionatha conferma di essere ancora l’attaccante più determinante della B. Compone con Roberto De Zerbi, che lo supporta sulla trequarti, un tandem offensivo immarcabile: 23 reti in 42 partite sono un contributo corposo alla salvezza. E gli valgono il titolo di capocannoniere del torneo.
Catania, un nuovo sogno
A 27 anni Spinesi sente l’esigenza di rimettersi in gioco, e accetta la corte del Catania, che milita in Serie B. Per progettare un atteso salto di categoria, il presidente Antonino Pulvirenti “consiglia” al diesse Pietro Lo Monaco di strappare all’Arezzo non solo il suo bomber più prolifico. Ma anche l’ideale partner d’attacco, De Zerbi (“Era allenatore nella testa sin da giocatore. Registrava un mucchio di partite, per approfondire la materia. E quando si facevano le riunioni tecniche diceva cose che vedeva solo lui. Concetto interessantissimi, interpretava il gioco con occhio diverso. Vedeva già il suo futuro…”). Nonchè l’allenatore Pasquale Marino (“E’ uno scrupoloso. Capii sin dal primo incontro che avrebbe contribuito a farmi ripartite. Mi convinse ad andargli dietro, e con le sue idee ho acquisito nuove consapevolezze del mio ruolo…”).
Il terzetto si sposta in Sicilia, dove Gionatha trova ad aspettarlo Giuseppe Mascara, acquistato dal Perugia. Il feeling tra loro è subito impressionante: 37 gol complessivi – 14 Mascara e 23 Spinesi -, che non rivince il titolo di capocannoniere solo perché Bucchi ne fa 29. Il Catania arriva comunque secondo in campionato, tornando in A dopo ben 22 anni di assenza, attraverso una marcia inarrestabile di gol pesanti e decisivi.
“Quando uscirono i calendari ad agosto, mia moglie mi disse di farle un bel regalo per il suo compleanno, che coincideva proprio con l’ultima giornata di campionato. Fu un’annata progettata per vincere ma la sconfitta di Modena a poche giornate dalla fine aveva complicato le cose. Il Torino si avvicinava in classifica. Poi, l’ultima partita, in casa contro l’AlbinoLeffe. I bergamaschi si giocavano la salvezza, ma noi eravamo consapevoli di essere la squadra più forte del torneo. Anche dell’Atalanta, che arrivò prima ma che noi battemmo 4-1 in casa e 2-1 a Bergamo…”.
Confermatissimo, a Spinesi viene finalmente offerta l’opportunità di poter dimostrare d’essere imprescindibile pure al piano di sopra. Pulvirenti aggiunge alla prima linea l’ex bomber del Catanzaro, Giorgio Corona. Insieme comporranno una coppia a tratti ingiocabile. E Gionatha si conferma il principale terminale offensivo della squadra di Marino. Con 17 reti in 32 partite conduce gli etnei fino a un incredibile 13° posto. Sfiorando la convocazione in Nazionale. Proprio quell’anno segna una rete da mille e una notte a Nelson Dida. Una conclusione col mancino, di grande efficacia e bellezza, caratterizza la sfida contro il Milan (1-1), che la settimana dopo avrebbe vinto la Champions League, importantissima in chiave salvezza per i catanesi.
“E il mio gol preferito. Non tanto per il gesto tecnico. Anche se fu un bel gol, ma per il legame familiare che ho con quel momento. Pochi giorni prima, infatti, era nata la mia seconda figlia, ricoverata in ospedale per un piccolo problema cardiaco. Partii per Bologna in uno stato emotivo molto complicato e la sera prima della partita contro il Milan, ogni due ore per tutta la notte chiamai il primario in ospedale per avere notizie su Giada, che nel frattempo era stata precauzionalmente sedata in incubatrice. Nel momento esatto in cui io segnai, lei si risvegliò. Per questo sono molto legato a quella rete”.
Nell’estate successiva, mentre Marino passa all’Udinese, Spinesi diventa uomo mercato.
“Iniziarono ad arrivare tante offerte. Mi voleva anche lo Shakhtar Donetsk. Le società avevano già trovato l’accordo, dovevo solo dare il mio ok. L’offerta economica era importante, avrei guadagnato 5 volte tanto rispetto al mio stipendio. Ma dissi no, perché volevo restare a Catania. Era da poco nata la seconda figlia e non volevo trasferirmi così lontano. Dopo il mio rifiuto, virarono su Cristiano Lucarelli”.
Con Walter Zenga in panchina, subentrato a Silvio Baldini (“Grande uomo, nutro per lui grande stima e rispetto, per il suo modo di intendere il calcio, coniugandolo agli aspetti umani della professione…”), i siciliani riusciranno a mantenere la categoria. Facendo un po’ più fatica, s’arrampicano al 17° posto (“Salvezza all’ultima giornata, che ebbe quasi l’aspetto di un miracolo sportivo, tenendo conto che giocammo tutto il girone di ritorno lontano dal Massimino, senza l’apporto dei nostri tifosi…”). Spinesi è meno incisivo. In ogni caso, segna 7 importantissimi gol in chiave salvezza, arricchiti da 2 reti in Coppa Italia, che spingono i rossoazzurri fino alla semifinale contro la Roma.
L’anno dopo, a segnare l’atto finale di una storia bellissima, i soliti infortuni che assillano la vita di un calciatore, che mettono Gionatha emotivamente a dura prova. Spinesi, prossimo alla scadenza di contratto, decide di lasciare il club. Alla penultima di campionato, ultima della stagione al Massimino, l’attaccante toscano si congeda dai suoi tifosi con un commovente giro di campo. Pochi mesi dopo annuncia di voler smettere.
Non rinnego dove ho mangiato
Da approfondire il motivo del suo ritiro prematuro. Spinesi ha abbandonato il calcio a soli 31 anni (“Non volevo sputare nel piatto in cui per oltre un decennio ho mangiato, ma non ne potevo più. La vita di un calciatore è bella, si guadagnano tanti soldi, ma è piena di grossi sacrifici. Era giusto fermarsi, perchè dopo tanti sacrifici avevo trovato la giusta condizione di vita. Ho deciso che la mia famiglia veniva al primo posto…”). Della serie, smetto quando voglio.
Una volta appesi gli scarpini al fatidico chiodo, Gionatha ha scelto di abitare all’ombra del Vesuvio, poiché la moglie è napoletana. Oggi allena nella scuola calcio creta dalla famiglia Montefusco e presieduta da Alfonso Ciccarelli, la “Montefusco-Spinesi”.
“Lavoro con i giovani, un’attività molto diversa rispetto al calcio dei grandi. Devi lavorare su tanti aspetti, e formare persone prima che calciatori. Sono andato via di casa a 16 anni per inseguire i miei sogni, so bene quali messaggi trasmettere ai più piccoli. Sono felice dell’esperienza che sto vivendo. Mi sto prendendo tante soddisfazioni”.
A proposito di Napoli, l’appuntamento col destino sotto forma di chiamata in azzurro Spinesi l’ha sfiorato per un soffio. Riavvolgiamo per un attimo il nastro del racconto e torniamo all’ultimo anno di Bari. A gennaio 2004, nel mercato di riparazione, la leggenda narra che i pugliesi praticamente regalavano un centravanti capace di garantire la doppia cifra, per la modica cifra di 400.000 euro. Chissà se quella sliding doors non avesse contribuito poi a cambiare il destino degli azzurri.
“Naldi e Matarrese si erano incontrati al casello di Avellino. Praticamente, avevo già firmato. Stranamente, però, le cose andavano per le lunghe. Arrivammo all’ultimo giorno di mercato, mi chiama Naldi e mi chiede di firmare in bianco. Poi lui avrebbe messo la cifra dell’ingaggio. Onestamente, non mi sembrava giusto. A quel punto non se ne fece più nulla. Ma forse era qualcosa legato ai problemi della società. Che poi purtroppo sono aumentati e ci fu il fallimento. Fu un vero peccato, mi sarebbe piaciuto giocare al San Paolo”.
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