C’è tanto Napoli nella parabola sportiva di Massimo Assante, cresciuto nel vivaio degli azzurri, un passato da “dodicesimo” in Prima Squadra, negli anni ’80.
Quindi una stagione con l’iconica Cavese dei miracoli, che sfiorò la promozione in Serie A. Prima di diventare un assoluto protagonista in Serie C, accumulando quasi trecento presenze con le maglie ancora di Cavese, Giarre, Savoia e Frosinone.
La dirigenza, convinta di avere tra le mani un autentico diamante grezzo, ne affidò la cura alle sapienti mani di Ottavio Bugatti, mitico portiere del Napoli negli anni ‘60, all’epoca preparatore dei portieri nel settore giovanile. Una full immersion fondamentale per l’evoluzione tecnica di Assante.
“Per me è stato un Maestro, di calcio e di vita. Ho avuto la fortuna di averlo prima con gli Allievi, dove guidava proprio la squadra. Quindi, nei due anni successivi, in Primavera, con Mario Corso in panchina. Era di un livello tecnico stratosferico. Mica si fanno più di dieci anni da titolare in Serie A, tra Spal, Napoli e Inter così; oppure si vince il Premio Combi quale miglior portiere della categoria. Poi aveva cultura del lavoro e grande mentalità, che inculcava in tutti noi. Una volta mi multò di 50mila lire per essermi presentato al peso 400 grammi sopra il mio standard abituale. Lo ricordo con affetto e nostalgia. Indimenticabile davvero...”.
La Cavese dei miracoli
Dopo aver mosso i primi passi nelle giovanili, Assante viene spedito alla Cavese, che diventerà una vera e propria squadra di culto. Anche in questa scelta, c’è lo zampino di Bugatti. Nel frattempo, passato armi e bagagli proprio dalle parti del “Simonetta Lamberti”.
“Inizialmente dovevo andare in prestito al Palermo, sempre in Serie B. Ma quando seppi che avrei potuto continuare ad allenarmi con lui, non ci ho pensato sù due volte. Ed ho firmato subito. Assieme ai miei ex compagni di Primavera, Caffarelli e Puzone. Ho avuto così l’opportunità di far parte di una stagione indimenticabile. Affiancando Franco Paleari. Uno dei migliori portieri della categoria. Mi ha trasmesso concetti importanti: farsi sentire dai compagni, stare concentrato. Essere sempre presente in partita...”.
Infatti l’annata 1982/83 rievoca ricordi memorabili. Magari oggi fa molto meno effetto pensare ai blufoncé che espugnano San Siro, battendo il Milan a domicilio. Le reti di Costante Tivelli – bomber da 150 gol in carriera tra serie B e serie C -, e Bartolomeo Di Michele rimontano il vantaggio rossonero dello “Squalo” Jordan.
Ma quel giorno di inizio novembre si ebbe netta la percezione che le aspettative della “provinciale” guidata da Rino Santin potessero cambiare drasticamente, sognando l’inimmaginabile.
“Allora la cadetteria era di un livello altissimo. Fummo la vera sorpresa del campionato. Costruiti inizialmente per salvarci, sfiorammo la promozione. Nacque un’alchimia speciale tra noi. Nello spogliatoio si creò una bella sinergia. Correvamo come matti. Bisogna sottolineare che all’epoca le rose erano ristrette a 15, max 16 giocatori. Integrati poi da giovani di belle speranze, che però il campo lo vedevano pochino. Dunque, dopo una stagione condotta a mille all’ora, nel finale di campionato, avemmo qualche difficoltà. Calammo fisicamente…“.
La Cavese terminerà il campionato cadetto a meno tre punti dalla zona promozione, dietro proprio al Milan ed alla Lazio. Nonché al terzetto composto da Como, Cremonese e Catania, che si giocano agli spareggi l’ultimo posto disponibile per la A. Con gli etnei che alla fine la spunteranno sulla concorrenza.
“Purtroppo perdemmo in trasferta alla penultima giornata, con la Reggiana, 4-3 ed il sogno sfumò sul più bello. Fu comunque una stagione eccezionale. Molti ricordano solamente la vittoria di Milano, ma dimenticano che andammo a strappare un punto pure all’Olimpico, contro la Lazio, altra corazzata del campionato“.
Il Napoli pre-Maradona
Le strade di Santin e Assante si incroceranno pure l’anno successivo. L’allenatore gli offre l’opportunità di dividere idealmente con Raffaele Di Fusco la maglia numero dodici. Pur trovando spazio solo in panchina, Massimo completa nel modo migliore il percorso di maturazione.
La stagione 1983-1984 è quella che precede lo sbarco di Diego Armando Maradona all’ombra del Vesuvio. Gli azzurri si salvano per il rotto della cuffia, affidandosi nelle ultime dieci giornate a Rino Marchesi. C’è comunque qualcosa di buono, in quel gruppo, tant’è vero che Bruscolotti e Ferrario costituiranno l’ossatura della squadra che vinse poi il primo Scudetto. Integrati da giovani cresciuti proprio al Centro Paradiso, come Carannante, Caffarelli, Muro e Puzone.
Quell’anno, tuttavia, rimane nei ricordi di Assante per un paio di motivi. Innanzitutto, conosce nel quotidiano Ruud Krol e Dirceu, al tempo dei soli due stranieri per club, considerati giustamente tra i principali Top Player che giocavano in Serie A.
“Due fenomeni. Krol era elegante in ogni sua giocata. Dirceu aveva un sinistro che cantava. Correva tanto, legava i reparti. Non stava mai fermo, si muoveva in continuazione per farsi vedere dai compagni e ricevere lo scarico. Entrambi classe fuori e dentro il campo. In un mondo che non considerava affatto i giovani calciatori, loro ti facevano sentire importante. Salutandoti, coinvolgendoti nella vita del gruppo. Impensabili, all’epoca, certe dinamiche. In alcuni contesti, addirittura, i ragazzini si cambiavano in un’altro spogliatoio, lontano dai senatori. Sotto certi aspetti, forse era un atteggiamento formativo. Oggi basta fare qualche partita buona per ottenere un contratto quinquennale, sul quale poi si campa di rendita. Magari, sedendosi pure un pò inconsciamente. Noi per strappare un biennale dovevamo sudare e dimostrare...”.
Inoltre condivide idealmente la porta, facendo da riserva al “Giaguaro”, Luciano Castellini.
“Come tutti i portieri di quegli anni, non era altissimo. Però aveva veramente movenze feline. Braccia lunghe, gambe forti ed esplosive. Oggi che alleno i giovani mi rendo conto quanto sia cambiato il modo di interpretare il ruolo. Magari è diventato più complicato. Ma i fondamentali una vola erano la base di partenza. Luciano, per esempio, oltre che spettacolare, era tecnicamente mostruoso. Bloccava tiri fortissimi, anche ravvicinati. Ho appreso tanto da lui. Avevo 21 anni e specialmente per la filosofia dell’epoca, un portiere doveva maturare una certa esperienza, prima di poter pretendere una maglia da titolare…“.
Ovvio, a quel punto, volersi mettere in mostra, giocare con una certa continuità, trovando chi gli consenta uno sbocco professionale da titolare. Così, Assante scende di categoria, per diventare un assoluto protagonista in Serie C. Ma questa è un’altra storia.
Un ritorno sfortunato
Appesi i guanti al fatidico chiodo, Assante acquisisce il patentino per allenare. Una proficua esperienza con le giovanili del Napoli, prelude alla promozione nello staff tecnico dei “grandi”.
Una stagione tragica, quella 2003-04, per la storia del club partenopeo, sull’orlo di una irreversibile crisi debitoria. A far precipitare gli eventi, con la squadra che stenta ad ingranare, i tafferugli scoppiati tra tifosi e forze dell’ordine nel derby contro l’Avellino, che provocarono la tragica morte di Sergio Ercolano. Il Napoli, sanzionato con cinque turni a porte chiuse, fu costretto a emigrare sul campo neutro di Campobasso.
Dopo l’ennesima scialba prestazione, l’ultima al Romagnoli prima di tornare al San Paolo, contro la Salernitana, la società dà quindi il benservito ad Andrea Agostinelli ed affida la panchina a Gigi Simoni: un ritorno per lui all’ombra del Vesuvio. Ma la situazione, ormai, è veramente drammatica. La svolta non si materializza. Gli azzurri galleggiano appena sopra la zona retrocessione. E si classificano quattordicesimi, avviandosi mestamente verso il fallimento.
I portieri di quella squadra sono Emanuele Manitta e Pierluigi Brivio.
“Diversissimi e perciò necessario allenarli in maniera diversa. Brivio aveva esperienza, ma lo condizionò un infortunio alla schiena. Manitta era sicuramente inferiore al collega sul piano tecnico. Però aveva una elasticità impressionante. Manco avesse avuto le molle sotto i piedi; una capacità di spostamento e spinta che gli consentivano di arrivare a prendere anche traiettorie sopra la linea della traversa. E poi era un ragazzo spiritoso ed estroverso, che si prestava a iniziativa extra campo. Tipo andare nelle scuole e interagire con i piccoli alunni, raccontando le sue esperienze…“.
Meret, Vicario e i giovani d’oggi
Guanti e porta sono le componenti che alimentano in maniera viscerale la vita di Assante, che oggi, da allenatore, apprezza e difende la categoria. Soprattutto, apprezza il Made in Italy.
“Negli anni ’80 la scuola italiana ha prodotto un mucchio di portieri fortissimi. Riconosco che era un calcio assai diverso, con tantissime partite in meno. Dove la gerarchia tra titolare e rincalzo era definita. Eppure, oggi vedo alcuni estremi difensori dalla tecnica approssimativa, più simile a gesti del volley che specifici dell’estremo difensore. Considero Vicario dell’Empoli, in assoluto, il più futuribile. E’ fortissimo...”.
Ovviamente, Massimo apprezza Alex Meret. Questa del friulano sembra essere la stagione della definitiva consacrazione. Anzi, alla luce delle difficoltà affrontate nelle scorse annate all’ombra del Vesuvio, sarebbe più giusto considerare il momento attuale un gioioso punto di svolta. Se non una vera rinascita personale, accantonato il dolore per gli infortuni; nonché la paura di non poter dimostrare tutto il suo potenziale: quelle innate qualità tecniche che avevano spinto gli addetti ai lavori a pronosticargli un futuro da predestinato.
“Ho l’impressione che abbia raggiunto una certa tranquillità, dopo un iniziale percorso sofferto, dovuto pure a problemi fisici. Credo che un merito importante per la nuova dimensione di Meret debba essere riconosciuto a Sirigu. Gli ha fatto da chioccia, ha contribuito a infondergli serenità. Com’è giusto che faccia un giocatore carico di esperienza. Tra i due si era costruito un giusto equilibrio. Forse Sirigu meritava qualcosina in più. E’ stato completamente dimenticato, senza neppure la possibilità della Coppa Italia. Sicuramente si è voluto dare continuità, puntando su Meret e facendolo giocare sempre...”.
Insomma, ad un passo dal baratro, pare finalmente sia riuscito a rialzarsi. Al pari dell’araba fenice, capace di sorgere nuovamente dalle proprie ceneri, dopo rovinose cadute. Oggi, che l’Airone sembra finalmente uno dei migliori interpreti nel ruolo della sua generazione, però, Assante spende una parola sulla strategia della società, che ha deciso di affiancargli Gollini.
“Per età e carriera, adesso la concorrenza potrebbe diventare più agguerrita. Meret dovrà continuare a dimostrare. Con la Roma l’ho visto un pò meno sereno, negli appoggi con i piedi e in uscita. Non si tratta di timidezza, ma di precise caratteristiche fisiche. Alcuni portieri hanno abilità particolari, tipo apertura alare delle braccia o elasticità negli arti inferiori. Per esempio, Neuer del Bayern Monaco, è uno dei pochissimi che fa la parata a croce con grande efficacia. Se il medesimo gesto lo compie un altro, becca letteralmente gol, con il pallone che gli passa sulla testa. Ecco, tornando a Meret, magari se fosse meno leggero, con sette/otto chili di muscoli a strutturarlo diversamente, potrebbe contrastare con maggiore coraggio bestioni del calibro di Lukaku. O assorbire gli urti, uscendo in mezzo alle mischie“.
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