L’Italia Under 17 laureatasi a giugno campione d’Europa rappresenta idealmente la fotografia dell’ottimo lavoro svolto negli ultimi anni dalla FIGC. Almeno a livello giovanile. Un risultato che porta alla ribalta non solo il CT Massimiliano Favo. E proietta direttamente nella storia gli Azzurrini, che mai prima d’ora avevano vinto la rassegna continentale in questa categoria. Sembra evidente che la strada intrapresa sia quella giusta. Rientra all’interno di un disegno più ampio, orientato a sviluppare il talento non per effetto di fattori casuali. Bensì, in virtù di una visione comune. Scenario in cui si inserisce la figura di Maurizio Viscidi, che fa da coordinatore, creando un modello di riferimento virtuoso. Un format dunque in grado di rendere vincente il progetto. Anche grazie ad una “scuola” di allenatori federali che veicolano una idea condivisa, di cui fanno parte tra gli altri pure Carmine Nunziata, Alberto Bollini e Bernardo Corradi.
“È il frutto del lavoro certosino di tutto il Club Italia. Magari conosciuto poco perché non pubblicizzato. Un risultato che arriva dopo un percorso meticoloso. Iniziato con me nell’Under 15 due anni fa e proseguito con Zoratto nell’Under 16. C’è l’area scouting, che ha criteri di valutazione e selezione dei nostri convocati attraverso parametri internazionali. Il Metodo TIPSS: un acronimo, che sta per tecnica individuale, intelligenza tattica, personalità, velocità (Speed) e struttura fisica. Ma sono tanti i segreti, come la ricerca di un’identità condivisa. L’aggiornamento continuo, perché a livello internazionale anche altri paesi hanno novità da proporre. E quindi bisogna aprirsi e recepirle. Personalmente, sono cresciuto con il protocollo N.A.G.C. (Nuclei Addestramento Giovani Calciatori), la Bibbia analitica della tecnica e della tattica individuale. Creava un ambiente perfetto per esaltare le abilità dei giovani calciatori. Estro mai fine a sé stesso, ma spendibile in situazione. Valorizzando i fondamentali”.
Cosicché le varie selezioni siano tutte riconoscibili attraverso i medesimi princìpi di gioco. Non è un caso se da qualche anno le nostre Nazionali giovanili arrivino in fondo ai grandi tornei. Mentre prima del nuovo millennio capitava spesso di non qualificarsi nemmeno.
“Il Club Italia da anni lavora con un criterio di valutazione eccezionale. Questa vittoria segue il primo posto con l’Under 19 lo scorso anno agli Europei. E arriva dopo che l’Under 20 si è spinta fino alla finale del Mondiale, arrendendosi solo con l’Uruguay a meno di cinque minuti dalla fine dei tempi regolamentari. Quindi c’è un lavoro importante alle spalle, che stiamo contabilizzando e molte volte passa sotto traccia. Alla base c’è comunque il lavoro dei club, che supporta il talento e la qualità dei ragazzi. L’addestramento dei giovani calciatori è deputato alle società. Noi li abbiamo una volta al mese, possiamo solo correggere”.
Troppa estorofilia

Favo ha iniziato la collaborazione con la Federazione, come vice dell’Under 16 e dell’Under 17. Dal 2021 è stato nominato commissario tecnico, prima dell’Under 15 e ora dell’Under 17. Cita i risultati recenti. Nondimeno, già prima del Covid erano arrivati un terzo posto ai Mondiali Under 20 del 2017, un secondo posto agli Europei Under 19 del 2018 e un’altra finale (persa…), agli Europei Under 17 del 2019. Di sicuro, le varie Nazionali giovanili che competono con i pari età nelle competizioni internazionali confermano un trend positivo: anche da noi la filiera del talento è viva. E racconta di come possa sbocciare, attraverso percorsi formativi in grado di avere curve e traiettorie meno appariscenti. Anche grazie al lavoro di allenatori e supporting-staff incontrati nel Club Italia.
“In Italia ci lamentiamo perché 2007 del calibro di Lamine Yamal e Pau Cubarsí giocano con continuità. Va dato atto che nel Barcellona non sono delle eccezioni. Xavi ha fatto esordire anche due 2006 che ho incontrato con l’Under15: Hector Fort e Marc Guiu. Probabilmente ad agevolarli concorre una filosofia tecnico-tattica. Entrano in un contesto organizzato, giocano sempre alla stessa maniera sin da bambini. Anche in Italia non manca di certo quella capacità artigianale di coltivare il talento, svilupparlo e dargli una forma adeguata alle esigenze del calcio contemporaneo. Forse abbiamo tempi e modi leggermente diversi dagli altri, ma su questo ci si può lavorare”.
Insomma, il movimento è progredito tantissimo. Ma potrà dirsi veramente in salute solamente quando le società accantoneranno una certa esterofilia, preferendo aspettare più un giovane calciatore straniero che un italiano. Una piega che spesso mortifica chi ha avuto un percorso importante nelle giovanili azzurre, dimostrandosi poi inconsistente al “piano di sopra”. Questo è il vero contributo alla causa dell’italico pallone: produrre ottimi giocatori potenzialmente convocabili in ottica Nazionale maggiore.
“Ai ragazzi italiani, e ancora di più a quelli che militano nelle squadre della loro città, non si perdona nulla. Mentre andrebbero aspettati. Bisogna avere più coraggio, cambiare mentalità. Dovrebbero giocare, sbagliare. E quindi, rigiocare e magari anche risbagliare. Dare loro la possibilità di crescere gradualmente. Molte volte si fanno esordire. Ma poi si aspettano poco. Anzi, spesso si emettono subito sentenze negative, che ne pregiudicano la piena maturazione. Eppure, i grandi campioni, quelli che ci hanno invidiato tutti, li abbiamo avuti anche noi. E prima o dopo torneranno. Se li sapremo aspettare”.
Purtroppo il problema reale rimane proteggere ed esaltare i talenti nostrani, all’interno di un “Sistema” di norme che spesso non consente affatto di imporsi ai massimi livelli. In Italia, per esempio, la cittadinanza è trasmessa secondo il principio dello Ius Sanguinis – da genitore a figlio -, e non in virtù dello Ius Soli (“diritto del suolo”). Ovvero, acquisita per il fatto di essere semplicemente nati sul nostro territorio.
“Noi come Federazione riusciamo a fare abbastanza con quello che abbiamo. Ma il problema della difficoltà nel tesserare giovani extracomunitari rimane. A livello internazionale la concorrenza si è alzata tantissimo anche per questo. Abbiamo affrontato per esempio, la Svizzera o l’Inghilterra, che aveva un mucchio di giocatori col doppio passaporto. Chiaramente, non bisogna forzare le situazioni. Qui non stiamo parlando di stranieri da naturalizzare. Bensì di nati in Italia da genitori stranieri: ragazzi perfettamente integrati, che vanno a scuola e nel frattempo giocano a calcio”.
Arduo diventare professionista

Ad aggravare ulteriormente la situazione, proprio il passaggio dalle giovanili al calcio dei “grandi”. Endemico che soltanto una quota di quelli che oggi rappresentano la crema dei vivai italiani avranno stabilità in Serie A o B. Non basta, dunque, essere tra i migliori della propria classe di età. Nessuno può garantir loro la certezza che si consolideranno nell’élite pedatoria. Diventare un professionista continua ad apparire un percorso difficile.
“Rispetto a quando giocavo io sono cambiati radicalmente i meccanismi. Noi non avevamo il procuratore e firmavamo il primo contratto come “giovane di serie”. A quel punto era quasi obbligatorio un periodo di apprendistato in prestito. Spesso in Serie C. Al tempo, un campionato talmente competitivo, da completare la nostra formazione calcistica. Il classico ritornello del farsi le ossa. Che era assai veritiero. Passavi dall’ambiente ovattato dove eri cresciuto, in contesti in cui dovevi guadagnarti il posto in squadra, oltre alla considerazione dei più grandi. C’era soltanto un modo: carattere, determinazione e applicazione. Per questo vedo di buon occhio il progetto delle Under23 in Lega Pro. Consente ai ragazzi di continuare a maturare all’interno di un circuito che ti conosce. E può monitorare da vicino i tuoi progressi. Oltre eventualmente a permetterti di salire in Prima Squadra”.
Ergo, per alcuni di questo gruppo l’Europeo sarò il punto d’inizio. Altri, invece, dovranno ricordarlo come un momento felice della loro carriera, accontentandosi di bazzicare la periferia della Lega Pro oppure addirittura della D. Favo è il classico allenatore-istruttore, assai restio a parlare dei singoli. Preferisce soffermarsi maggiormente sul collettivo.

“Ogni allenatore si lega a un gruppo che vince. Ma quello che maggiormente mi gratifica è la continuità. Non nascondo quanto abbia fatto piacere che Corradi mi abbia chiamato per capire se qualcuno dei miei ragazzi potesse essergli utile agli Europei con l’Under19. Tornando all’esperienza di Cipro con l’Under17, venendo dall’Under15 conoscevo i gruppi precedenti. Ho pensato di attingere da loro. Insomma, così ho rubato un po’ il tempo. All’Europeo abbiamo schierato quatto nati nel 2008, cioè 16enni che affrontavano giocatori del 2007, più grandi e in qualche caso pure meglio strutturati fisicamente. Eravamo la nazionale più giovane insieme alla Croazia. Ma questo non ha rappresentato un problema. Parlare di un giocatore solo per me è riduttivo. In generale, sono tutti giocatori di grande spessore, con ancora tantissimi margini di miglioramento, fisicamente e tecnicamente, purché non si fermino con la testa alla vittoria dell’Europeo”.
Del resto, la “sua” Italia è salita sul tetto d’Europa con cinque vittorie nei tempi regolamentari su sei partite. Tre su tre nella fase a gironi. Quindi, i rigori per superare l’Inghilterra nei Quarti di finale. Ancora l’ennesimo successo, senza subire neanche un gol, in Semifinale. Senza trascurare il netto 3-0 rifilato al Portogallo nella finalissima.
Le connessioni di Favo
L’Under 17 pur partendo da un sistema di base, ha sviluppato un gioco fatto di continue connessioni. Il c.t. concedeva ampi margini di libertà nelle letture ai giocatori più tecnici. Chiamati a interpretare un calcio associativo, funzionale a costruire triangoli, oppure fare densità in una particolare zona.
“La squadra cerca sempre di dominare la partita e di non far giocare gli avversari. Abbiamo la cultura del gioco. Tutto sviluppato in funzione bifasica. Il calcio moderno non può permettersi giocatori monodimensionali. Non ha senso, per esempio, che un attaccante rimanga statico là davanti. Urge dinamismo e intensità. Lavoriamo in ogni allenamento per avere il dominio della palla, per stare sempre molto vicini perché, poi, una volta persa la palla, siamo avvantaggiati nella fase di aggressione e recupero”.
Restringendo gli spazi per dilatarli all’improvviso. Ribaltando immediatamente dopo il fronte della manovra. A sostenere questo impianto dall’indole proattiva, un asfissiante gegenpressing: giusto atteggiamento per tentare di recuperare immediatamente il pallone dopo averlo perso.
“Un mantra nel Club Italia. Una caratteristica che abbiamo avuto nel corso di tutto l’Europeo. I difensori centrali sempre concentrati nelle marcature preventive. La spinta dei laterali. I centrocampisti vogliosi di pressare e buttarsi dentro l’azione, alle spalle della pressione. Gli attaccanti che hanno lavorato molto per la squadra quando il possesso l’avevano gli avversari, rientrando sottopalla. Se prendo in esame ogni singolo giocatore, ognuno ha eseguito ben oltre il suo compito specifico, senza alcuna pigrizia”.

Nel 4-3-1-2 di partenza, in quella che può essere considerata la formazione tipo, tra i pali c’è Longoni del Milan. Tuttavia, dalla semifinale si è ritrovato titolare Pessina del Bologna, per via di una botta alla testa del collega, che ne ha suggerito un precauzionale accantonamento. I terzini sono Cama della Roma e Benjamín, nato in Brasile, cresciuto calcisticamente in Spagna, nelle giovanili di Rayo Vallecano e Getafe, prima di approdare al Real Madrid. Un percorso simile a quello del difensore centrale Andrea Natali, figlio d’arte, il padre Cesare ha giocato in A con Fiorentina e Torino: vive in Spagna da quando aveva dodici anni. Era entrato nelle giovanili dell’Espanyol, oggi è un pilastro dell’Under 18 del Barcellona. Gli gioca accanto lo juventino Verde.
A centrocampo, Sala del Milan è padrone assoluto della regia. Ha un rapporto magnetico con la palla e garantisce uscite sicure in prima costruzione. Le mezzali sono i romanisti Di Nunzio e Coletta, a loro spetta il compito di consolidare il possesso ed inserirsi a turno in profondità. Là davanti, le sorti dell’attacco sono affidate al terzetto delle meraviglie: alle spalle della coppia formata dall’interista Mosconi e dal milanista Camarda, si muove l’altro rossonero Liberali. In questo contesto tattico, il numero dieci del Milan – autore di un meraviglioso “slalom gigante”, con annesso gol contro l’Inghilterra – è quello deputato ad abbassarsi per cucire la fase offensiva sulla trequarti.
Favo guarda al futuro con fiducia
In definitiva, favo guarda con un certo ottimismo al futuro. Nella speranza che la maggior parte della nidiata di 2007 e 2008, dopo aver letteralmente dominato gli Europei di Cipro possa superare le lacune del sistema, e trovare la giusta identità. Trasformarsi, in prospettiva, nella nuova classe di fenomeni generazionali, dal futuro radioso. Consapevoli che la strada per sbarcare in A resta comunque decisamente lunga e impervia. Senza dovere necessariamente scappare all’estero.
“Potrebbe essere anche un vantaggio per i ragazzi. Un po’ meno per il nostro lavoro di selezione, perché poi le società li rilascerebbero solamente nelle date previste dal calendario FIFA. L’importante, in certe fasce di età, è pareggiare lo strapotere di nazionali che possono fare ampio ricorso a giocatori che abbiano già completato lo sviluppo organico. Sfruttando le nostre caratteristiche tecniche. Sempre supportate da gambe esplosive e brillantezza fisica. Inoltre, non dimentichiamo che le regole della Comunità Europea penalizzano un po’ i club che puntano forte sul settore giovanile. A 16 anni, infatti, se non hai ancora firmato il primo contratto da professionista, puoi andare all’estero. In cambio, alla società di appartenenza va un semplice parametro. Ovvio che poi l’Italia perda potenziali talenti”.
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