C’è stato un tempo in cui Francesco Baiano era il centro di gravità delle fortune di Foggia e Fiorentina. Il centravanti tascabile, che arriva ai vertici della Serie A, sudandosi ogni gradino. Superando però un inconveniente preliminare.
“La prima volta che provai con il Napoli fui scartato. Mi consideravano fisicamente troppo piccolo. L’anno dopo, durante un torneo tra Scuole Calcio, dove segnai nove gol in tre partite, i dirigenti azzurri si convinsero. Parlarono con mio padre. Da lì è iniziata la classica trafila…”.
Scudetto con gli Allievi
Non semplice riuscire ad affermarsi in un settore giovanile come quello. Competitivo alla stregua di pochi a metà degli anni ’80.
Ciccio sogna in grande, senza paure né limiti. Ma con i piedi tenuti costantemente ben saldi a terra. L’occhio lungo del vivaio partenopeo di qui tempi, Riccardo De Lella, “Maestro” di un’altra generazione nello scoprire e formare giovani talentuosissimi, lo schiera con i più grandi.
“Giocare sotto età è stato il mio trampolino. Inizialmente facevo i Regionali, con Abbondanza. Passai con i Nazionali solo a novembre, causa alcuni infortuni tra gli attaccanti di quel gruppo…”.
Baiano punta tenacemente sul suo calcio, fatto di tecnica, rapidità e letture.
“Ci sono ruoli che presuppongono determinate caratteristiche. Ovviamente, se fai il difensore centrale e sei strutturato fisicamente, hai un vantaggio. Ma l’attaccante deve avere tecnica abbinata a velocità…”.
Capacità che permettono agli “azzurrini” di laurearsi Campioni d’Italia Allievi nel 1983/84, battendo ai rigori la Fiorentina (toh… la circolarità della vita!): 8 a 7.
“A Firenze era finita 1-1, così come al ritorno. Al Due Palme di Agnano c’erano almeno cinquemila persone. L’anno dopo passammo in blocco in Primavera. E anche lì ero sotto età. Infatti, almeno all’inizio, ho avuto qualche difficoltà. Giocavo poco. Poi feci tre gol nell’arco di una settimana e le cose cambiarono. A fine stagione, infatti, i gol furono 22…”.
Ciccio annusa in anticipo le intenzioni dei difensori avversari. E non raramente, anche quelle dei portieri. Così da intuirne le debolezze, rubando loro il tempo.
Esordio in Prima Squadra
Peculiarità che appartengono a calciatori destinati prima o dopo a sbarcare al “Paradiso”. Ovvero, il centro sportivo dove si allena il Napoli.
“Ho avuto una gran fortuna ad entrare in uno spogliatoio che non mi ha mai fatto sentire come il ragazzino della Primavera. Imponendomi, per esempio, di raccogliere i palloni a fine allenamento. Bensì, sullo stesso piano, come uno del gruppo. Hanno visto che c’era rispetto ed educazione, da parte del sottoscritto, nei loro confronti e mi hanno ricompensato, trattandomi alla pari. Ora è cambiato tutto…”.
Cicco sopravvive all’ostilità di chi ne sottovaluta le abilità, ingannato dal quel fisico tutt’altro che da corazziere. Fino a convincere Ottavio Bianchi.
“Parlava pochissimo, ma con me instaurò un bellissimo rapporto. Forse perché ero il più piccolo del gruppo…”.
Il 28 agosto del 1985 il Napoli affrontala Salernitana nel Primo Turno di Coppa Italiae l’allenatore lo fa partire titolare, a comporre il tridente con Bruno Giordano e Diego Armando Maradona. La gara, originariamente, era calendarizzataal Vestuti. Ma il club granata chiese l’inversione. Così si giocò al San Paolo.
Come i 50mila che affollavano l’impianto di Fuorigrotta, pure chi era in campo fu affascinato dal tracciante su punizione, con cui El Diez disegnò subito una traiettoria assassina, mettendola lì dove il compianto Gunther Mair, inutilmente proteso in tuffo, non sarebbe mai arrivato.
Il momentaneo pareggio degli ospiti non può certamente rovinare l’esordio di Baiano, che alla mezz’ora si presenta al cospetto del portiere avversario. Con una serpentina ubriacante lo mette letteralmente a sedere. Fallo e conseguente rigore, trasformato ancora dal Re.
L’esordio con i “grandi” marchia come un tatuaggio, di rimuoverlo non se ne parla proprio.
“Le prime volte non di dimenticano mai. Più avanti magari perdi qualcosa, diventa una sorta di routine. Quel giorno però commisi un errore che non ho mai più ripetuto. Misi degli scarpini nuovi e tra il primo ed il secondo tempo mi vennero le vesciche ai piedi!”.
Baianito e Dieguito
Nel mondo carico di scintillanti promesse dettate da un esordio brillante, addirittura il Más Grande riconosce l’indiscutibile talento di Baiano.
“Nonostante abbia condiviso poco lo spogliatoio con Maradona, giusto un paio d’anni, credo di averlo vissuto assai intensamente. Era sempre prodigo di consigli per i giovani aggregati dalla Primavera, come me. Quando poi sono entrato a far parte in pianta stabile di quel gruppo, è stato molto presente e protettivo…”.
El Pibe ne sudamericanizza il cognome, ribattezzandolo neppure troppo frettolosamente Baianito. E gli fa un dono indimenticabile.
“Entrambi avevamo il 40 e Diego mi mise a disposizione le sue scarpette. Che erano fatte su misura, ma disse di non preoccuparmi, perché avrebbe provveduto lui. Qualche giorno dopo firmai un contratto di sponsorizzazione con lo stesso fornitore…”.
Non male, per chi è partito da un campetto spelacchiato di Soccavo.
“Le doti tecniche di Maradona non si discutono. Sono sotto gli occhi di tutti. Ma l’umiltà dell’uomo, le sue qualità umane, quella disponibilità tipica di chi era venuto sù dal niente, possono testimoniarle solo chi ha conosciuto Diego!”.
L’evolversi del suo iter professionale viene scandito proprio dalle parole di Bianchi e Maradona.
“Entrambi determinanti per farmi capire certe dinamiche. Fu Diego che mi convinse ad accettare il prestito all’Empoli, dicendomi che giocando con continuità avrei dimostrato tutto il mio potenziale. Il mister, invece, mi tranquillizzava, dicendomi che Andrea Carnevale, non volendo fare più panchina, con il rischio di perdere pure la Nazionale, aveva chiesto la cessione. A quel punto, sarei diventato la prima alternativa a Careca…”.
L’ultimo giorno del mercato di ottobre, tuttavia, Carnevale sceglie di rimanere. E’ dunque Ciccio a fare i bagagli.
“Avrei dovuto nascere dieci anni dopo per affermarmi a Napoli. Del resto, i nomi di chi avevo davanti in quel periodo la dicono lunga sulla qualità indiscussa della concorrenza!”.
Benvenuto a Zemanlandia
Nonostante avesse una voglia indescrivibile di sfondare, a inizio carriera Baiano ha faticato un pochino. Sempre con la valigia in mano: Empoli, Parma e Avellino le tappe del suo girovagare.
Molto determinato, i prestiti non lo deprimono. Palesando una innata predisposizione al sacrificio, non s’è mai arreso, continuando a lavorare a testa bassa.
A trasformarlo in attore protagonista, Zdeněk Zeman. Il boemo insegue una visione, tentando di subliminale l’incontro tra logica pragmatica ed Estetica Trascendentale.
“La prima volta che lo incontrai mi salutò, chiamandomi bomber. Rimasi un po’ sorpreso, perché a Parma e Avellino non avevo raggiunto la doppia cifra…”.
Rivoluzionario, in largo anticipo sui tempi, con il Foggia diffonde il “verbo”. Favorito dai gol di Baiano, capocannoniere della cadetteria con 22 reti.
Una utopia, Zemanlandia: riscrive i princìpi del 4-3-3, cristallizzandone i movimenti. Più che un sistema di gioco, una filosofia futurista, tesa all’uguaglianza.
“I suoi insegnamenti ti segnano in positivo. Lasciandoti un bagaglio che ti porti dietro per l’intera carriera. Con lui sono riuscito a esprimermi completamente. In attacco lavoravamo sui principi di sponda e taglio. Noi attaccanti accorciavamo in appoggio ai centrocampisti. E dopo attaccavamo lo spazio con movimenti a mezzaluna…”.
Zeman ha rivestito un ruolo fondamentale nel successo di Baiano, spigionando suggestive linee guida, funzionali alla creazione di un’orchestra in cui abolire i primi violini dovesse essere un dogma piuttosto che una necessità.
“Il ritmo faceva la differenza. Al 70’ gli avversari erano sfiniti, mentre noi volavamo. E per loro i finali di partita diventavano un calvario. Del resto, durante la settimana lavoravamo tantissimo. Innanzitutto, a secco. Gradoni, ripetizioni sui mille. E ancora, balzi e navette a intensità sostenuta. A fine seduta, qualcuno vomitava nella fossa a bordo campo dello stadio Zaccheria…”.
La diversità stava nel gioco, anziché nei giocatori. Raffinata fusione tra princìpi incontrovertibili e talento.
“Per giocare a memoria come facevamo noi, era necessario provare tutti i giorni sempre le stesse azioni, alla ricerca di sincronismi e tempi di gioco. Appena abbassavamo l’intensità, pensando di difenderci attraverso il possesso piuttosto che andare in verticale, nascevano le difficoltà…”.
Una formula di calcio propositivo attorno alla quale crescono, migliorando in maniera esponenziale, i protagonisti di quel formidabile tridente: Baiano, Rambaudi e Signori, che arrivano a giocare in Nazionale.
Azzurra e Viola
Ciccio si ferma solamente a due gettoni di presenza con l’Italia di Arrigo Sacchi (“Un altro allenatore veramente avanti anni luce, con le sue idee di calcio proattivo, forse con una maggiore dose di attenzione tattica in fase di non possesso…”), in vista delle Qualificazioni all’Europeo del ’92.
Gare indimenticabili per le suggestioni sprigionate, in grado di inorgoglire un intero quartiere, compreso tra Via Epomeo e la Croce di Piperno.
Esordio da titolare, a Genova, il 13 novembre, contro la Norvegia (1-1). Bissato il mese successivo, nella “sua” Foggia, nella vittoria su Cipro.
“La Nazionale rappresenta la massima espressione per un calciatore: l’inno, la maglia azzurra. Sono emozioni difficili da veicolare a parole. Se giocare per la squadra per cui fai il tifo da bambino è emozionante, farlo per l’Italia lo è ancor di più. Arrivi a non sentire le gambe o vedere la gente sugli spalti per la concentrazione…”.
Nell’estate del ’92 la Fiorentina strappa Baiano ai Satanelli, versando nelle casse dei dauni 10 miliardi.
Lui e Batistuta formano in riva all’Arno un binomio letale, il fulcro del vangelo Viola. Uno graffiava, l’altro buttava giù le porte. Diventando devastanti negli ultimi sedici metri.
“A Firenze il mio modo di interpretare il ruolo di attaccante cambia. Nel 4-4-2, Bati era il finalizzatore, che attaccava la profondità ed io mi muovevo da sottopunta, sfilandomi per creargli spazio. Del resto, se gli davi mezza palla giocabile, ti puniva…”.
Il Napoletano e l’argentino si cucirono addosso il giglio, la Fiesole sullo sfondo, diventando splendidi testimonial della Viola.
“La nostra intesa si è fortificata in virtù di un’amicizia vera, dentro e fuori il campo. Un feeling naturale, per cui quando segnava lui, io ero contento. Un po’ meno Gabriel, che viveva esclusivamente per il gol!”.
Per ricordare quella sontuosa coppia-gol bastano un paio di fotogrammi. Immortalano il tempo che rubavano ai difensori, le accelerazioni improvvise. Scene che fanno da corollario alla vittoria della Coppa Italia e della Supercoppa Italiana.
“Eravamo una buona squadra, ma un grande gruppo. Probabilmente potevamo fare di più in termini di risultati. Però se vuoi arrivare in alto, devi pianificare gli step di crescita e programmare per tempo. Rimane comunque la sensazione di aver vinto qualcosa di importante, altro che due Coppette. Alzare trofei dove non si vince spesso dà maggiori soddisfazioni. E ti fa rimanere negli annali…”.
Orgoglio Baiano
Credendo ferocemente in sè stesso, Ciccio ha conteso ai principali offensive player del tempo la palma di migliore, conquistando la “Scarpa di Bronzo” in campionato, con 16 reti, alle spalle di Marco Van Basten (25) e Roberto Baggio (18).
“E’ motivo di grande orgoglio aver avuto la fortuna, oltre alle capacità, di confrontarmi con giocatori che oggi possiamo guardare soltanto in tv. Fenomeni come l’olandese, che deliziava per eleganza. Oppure Roby, il più talentuoso tra i calciatori italiani. All’epoca, tutti i migliori giocavano in Seri A…”.
Baiano, quindi, nella vita è riuscito ad avere successo. Al punto da toccare il cielo con un dito, mettendo piede al San Paolo.
“Ho giocato in A con la maglia del Napoli. Ero già contentissimo così, visto che sono tifoso sin dall’età di 5 anni, quando mio padre mi portò per la prima volta allo stadio. Più avanti, andavo in Curva pur potendo accomodarmi nei posti centrali destinati ai tesserati azzurri...”.
Un ragazzo diventato uomo grazie a umiltà e rispetto. Valori che sono lo specchio dell’ambiente in cui cresce.
“Devo ringraziare mio padre, che mi ha sempre sostenuto e accompagnato, senza però alcuna invadenza. Anzi, se ne stava in disparte, rispetto ad altri genitori. Nonché tutta la mia famiglia, se sono riuscito a coronare il sogno di ogni ragazzino. Tutti abbiamo cominciato a giocare per strada ed alle nuove generazioni forse manca proprio questo: l’adattarsi alle presenze delle macchine; il rimbalzo irregolare del pallone, che ti obbliga ad affinare la tecnica…”.
Insomma, chi ama il calcio, non può non apprezzare il percorso compiuto da Baiano…
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