La vita di Raffaele Ametrano rappresenta in maniera emblematica come un giocatore professionista sia sempre sospeso nello spazio che unisce vittorie importanti e clamorose sconfitte. Lasciandosi trasportare dal filo sottile dei ricordi, appare evidente l’autentico coinvolgimento generato emotivamente nella sua carriera dal colore azzurro.

Rituale universale che risuona in tutti gli inizi, il classico passaggio nel settore giovanile del Napoli.

Credo di essere stato fortunato, perché ho avuto tecnici del calibro di Peppe Massa e Sandro Abbondanza, che mi hanno trasmesso grandi insegnamenti. Non solo calcistici. Avendo giocato in A erano fonte d’ispirazione. Poterli un giorno emulare alimentava i nostri sogni di ragazzini. I fondamentali erano il pane quotidiano. Ancora adesso, nel mio bagaglio di allenatore, ne riconosco l’importanza…”.

Appena 18enne viene ceduto all’Ischia, continuando però ad andare avanti con fiducia verso i suoi obiettivi, consapevole che ogni singolo passo l’avrebbe avvicinato alla storia che ha scritto.

Ho imparato presto che se volevo veramente diventare un calciatore non avrei dovuto mollare alle prime difficoltà. All’epoca nel Napoli c’era grandissima concorrenza. Nelle varie squadre c’erano alcuni tra i migliori prospetti, non solo della Campania. La politica della società era quella di avere molti gruppi, tutti competitivi. Ovviamente, molti dovevano scegliere una strada diversa dalla classica trafila nel vivaio, passando poi in Prima Squadra”.

Ischia, isola verde

Accantonati (momentaneamente…) i sogni di gloria, Ametrano è costretto a misurarsi con la dura realtà della C1. In ogni caso, tornando indietro con la memoria, rivendica orgogliosamente quei momenti, propedeutici al grande salto.

L’Ischia mi ha davvero offerto la possibilità di mettermi in mostra…”.

In una stagione abbastanza tribolata, Raffaele viene comunque lanciato tra i titolari da Pasquale Casale.

Un allenatore mentalmente avanti rispetto a quei tempi. Lavorare con lui è stata una sorta di proiezione futura di quello che poi ho vissuto negli anni a venire. Un meticoloso su ogni aspetto, dal cibo all’approccio alla preparazione della partita. Con allenamenti funzionali, sia tecnicamente, che dal punto di vista tattico…”.

Gruppo giovane, che sgomita nei bassifondi della classifica. Zeppo di ragazzini terribili cresciuti al Centro Paradiso: Barrucci, Sasà Russo (nello staff di Spalletti fino a qualche settimana fa) e Marco Morrone.

Ischia Calcio 1993/94

Per rincorrere una salvezza insperata la squadra si compatta tutta attorno alla sagacia tattica di Giovanni Martusciello (“E’ curioso che qualche anno dopo ci siamo ritrovati a Empoli, in A. Anche lì facemmo un campionato importante, culminato con una salvezza magari inizialmente insperata”), poi vice di Sarri con Juventus e Lazio. Rimboccandosi le maniche, gli isolani scalano posizioni, arrivando all’ultima giornata con un prezioso match-point casalingo a disposizione. Ma la sfida decisiva col Messina per mantenere la categoria finisce in parità e l’Ischia retrocede per un misero punticino.

La delusione dura appena qualche settimana. I soliti problemi che angustiano la C causano un mucchio di mancate iscrizioni, così i gialloblù sono ripescati. L’anno dopo, rivitalizzati dall’insperato evento, disputano un campionato tranquillo, cucendo un abito adatto a esaltare un paio di vecchi bucanieri, supportati dalla corsa inesauribile proprio di Ametrano.

Esprimevamo un calcio di qualità per la categoria, con gente dai piedi buonissimi, tipo Ciro Muro. Ed un attaccante come Gigi Di Baia, che vedeva la porta come pochi”.

A Udinese il calcio che conta

Ci sono trasferimenti che somigliano molto ad incroci con il destino. Per Ametrano, l’Udinese rappresenta la tappa che influenzerà pesantemente il suo futuro. Arriva direttamente dalla C1, ma Adriano Fedele è un allenatore scevro da pregiudizi.

Ametrano Udinese

Ebbe un gran coraggio a mettermi in squadra. Per la verità, non stavamo andando benissimo, almeno la partenza non era stata quella auspicata per chi ambiva alla promozione. Alla quinta giornata mi fece esordire a Como. Vincemmo ed io non uscii più…”.

A metà novembre i friulani però passano nelle mani di Giovanni Galeone. Ma lo scenario cambia poco: Ametrano continua a ritagliari un posto a fianco ai marpioni della cadetteria, tipo Stefano Desideri, Fausto Pizzi e Fabio Rossito. Alla fine, i bianconeri conquistano la promozione.

Per certi versi, Udine è l’ambiente ideale per fare il calciatore. Non ti mette addosso grandi pressioni. Anzi, ti aspetta, permettendoti di crescere e maturare…”.

L’anno successivo, Raffele si presenta all’appuntamento con la Serie A intenzionato a raccogliere la sfida che generalmente un contesto così difficile lancia agli esordienti. Ebbene, lui non paga assolutamente dazio all’assenza di dimestichezza dal grande palcoscenico. E si tiene ben stretta la maglia pure con Alberto Zaccheroni in panchina.

Devo molto a Zaccheroni. Tatticamente era preparatissimo. In un periodo storico dove molti parlavano esclusivamente di moduli e numeri, lui lavorava per concetti e princìpi di gioco. E poi faceva sentire tutti importanti, gestendo il gruppo alla perfezione”.

Maldini e l’Europeo U21

Un’annata all’insegna degli scatti continui per aggredire in avanti, arricchiti dalla costante voglia di sacrificarsi, ripiegando per dare una mano in copertura, gli valgono la convocazione con l’Under 21, in partenza per l’Europeo.

Già essere convocati non era semplice. Non dimentichiamo che parte di quel gruppo costituì la base della Nazionale che poi vinse il Mondiale a Berlino…”.

E’ la Nazionale di Cesare Maldini.

Una persona, prima che un allenatore, eccezionale. Nonostante fosse di poche parole, quando ti parlava, emanava grande personalità e carisma. Fondamentali, i suoi insegnamenti, per capire cosa significasse indossare quella maglia, in termini di orgoglio e senso di appartenenza. Il suo spessore umano l’ho compreso appieno al momento delle scelte per le Olimpiadi. Dovevo scontare due giornate di squalifica, mi convocò lo stesso. Sapeva quanto ci tenessi, mi diede fiducia. Ebbe comunque un gran coraggio…”.

L’Italia è un rullo compressore: le parate di Pagotto, una difesa letteralmente insuperabile, composta da Fabio Cannavaro, Galante, Nesta e Panucci. E ancora, i gol di Totti e la classe operaia che va in Paradiso, con Tommasi e Ametrano a cantare e portare la croce, fino alla finale di Barcellona. Dove batte la Spagna. Tra le Furie Rosse ci sono Mendieta, De La Pena e Morientes; nonché l’astro nascente del Real Madrid, Raúl Gonzalez Blanco.

Diciamo che era tutto apparecchiato per festeggiare la vittoria della Spagna. Erano i padroni di casa, si giocava nello stadio che poi avrebbe ospitato le Olimpiadi. Insomma, erano i favoriti. Noi avemmo il merito di crederci maggiormente, soffrendo al di là dell’aspetto tecnico…”.

Italia Under 21 Campione d'Europa 1996, in finale con la Spagna

E’ un match indimenticabile, di una intensità stordente. Nel bene e nel male, c’è lo zampino di Raffaele: serve l’assist su punizione, per il vantaggio di Totti.

Oggi, con le nuove regole, probabilmente quel gol lo avrebbero assegnato a me. In verità, calciai con la segreta speranza che qualcuno la toccasse, buttandola in porta!”.

Alla mezz’ora si scatena un mischione fantozziano. A pagare le colpe della rissa, Nick Amoruso, che viene espulso. In dieci, gli iberici pareggiano. Nondimeno, la feroce determinazione tiene a galla l’Italia. Quindi, nei supplementari, si fa cacciare pure Ametrano, lasciando la squadra in nove. Stoicamente, soffrendo e sputando sangue, si arriva ai calci di rigore. Pagotto fa il fenomeno e decide i destini degli Azzurrini, che si aggiudicano per la terza volta consecutiva il titolo continentale.

Esperienza formativa

Ametrano ormai ha fissato la direzione. In quella bellissima estate spagnola del 1996 segue ogni giorno gli sviluppi del mercato, intrecciando l’impegno con l’Italia e l’ambizione di un trasferimento prestigioso. Nel suo personalissimo viaggio, ciò che conta non è tanto la meta. Bensì, il percorso per raggiungerla: eppure, l’impensabile diventa realtà e Raffaele passa alla Juventus.

Per un calciatore, la Juve è l’equivalente di Disneyland per i bambini. Se hai l’ambizione di voler arrivare in alto, ti forgia emotivamente. Al contempo, pretende costante applicazione, sia in campo che fuori. Solamente allenarsi con certi giocatori e con le tribune gremite di tifosi, metteva pressione. Devi dimostrare di essere sempre all’altezza per capire come interpretano il lavoro determinati campioni e confrontarti…”.

La Vecchia Signora è indubbiamente alla fine di un ciclo, culminato con il trionfo in Champions League, e vuole ringiovanire la rosa.

Arrivai a ritiro iniziato, per gli impegni con la Nazionale. Ebbi subito un impatto completamente diverso rispetto a tutte le altre esperienze professionali. Ma se sono cresciuto tantissimo, pur giocando quasi nulla, lo devo a loro…”.

Ametrano_Juventus

Il problema rimane quello di riuscire a conquistare un pò di spazio: i bianconeri staranno anche vivendo un periodo di transizione, ma nello spogliatoio i Top Players abbondano. Lippi gli concede le briciole. Lo schiera solo nel doppio turno di Coppa Italia contro la Nocerina. All’andata, i Molossi fermano sullo 0-0 i Campioni d’Europa, sul neutro di Avellino. Addirittura, rischiano di espugnare il Delle Alpi, perdendo 2-1, al ritorno.

La Juve aveva un calendario fitto di impegni. Forse la Coppa era il meno prestigioso tra gli obiettivi da inseguire. Mentre la Nocerina si dimostrò un avversario ferocemente determinato nel fare la partita della vita…”.

Insomma, la permanenza è esclusa. Pochi giorni dopo la Coppa Intercontinentale a Tokyo, uno dei più iconici trofei che una squadra di club possa inseguire, Ametrano passa al Verona. Da lì in poi comincia un lungo peregrinare in prestito: Empoli, Genoa, Salernitana e Cagliari. Il legame contrattuale si spezza solamente nel 2000, con il trasferimento a titolo definitivo al Crotone.

Ho l’impressione che quando mi acquistarono non servivo immediatamente alla Juve, ma in prospettiva. Mentre lo staff tecnico pretendeva giocatori affidabili, pronti subito. Dal canto mio, volevo giocare con continuità, anche abbassando le pretese. Accettando dunque di andare continuamente in prestito”.

Desiderio avverato a metà

Tutte queste esperienze sono servite ad Ametrano per forgiare il suo carattere, imponendosi oltre qualsiasi scetticismo. Perché la cultura del lavoro paga. E talvolta riporta là dove il percorso ha avuto inizio: all’ombra del Vesuvio.

Ho trascorso calcisticamente una infanzia bellissima, condita dal Napoli che vinceva in Italia ed Europa. Il mio sogno di giovane raccattapalle non poteva che essere quello di tornare al San Paolo da protagonista…”.

Ametrano_Napoli

La stagione 2001-02 fu caratterizzata da infiniti problemi. In primis, l’incapacità dell’ambiente a metabolizzare la retrocessione maturata all’ultima giornata del campionato precedente, frutto del biscottone apparecchiato tra il Parma di Tanzi ed il Verona, soltanto formalmente di Pastorello, ma in verità gestito dalla longa manus della Parmalat. In effetti, la sconfitta casalinga dei Ducali permette agli scaligeri di superare in classifica gli azzurri sul filo di lana.

La retrocessione aveva segnato lo spogliatoio. Alcuni erano psicologicamente provati. Altri non erano sereni. C’era chi era rimasto probabilmente anche a causa dei contratti pluriennali, ma era scontento. Inoltre, la contestazione del pubblico non facilitava le cose. Alla prima giornata affrontammo l’Ancona davanti a non più di mille spettatori. Confesso che tornai a casa un po’ scoraggiato…”.

A rendere la situazione ancora più insostenibile, il nubifragio che investe la città agli inizi di settembre, devastando parzialmente lo stadio. L’inagibilità obbliga per cinque mesi la squadra allenata da Gigi De Canio a giocare ben otto gare in esilio tra Cava e Benevento.

Con De Canio inizialmente non mi ero preso bene. Ne parlai con Pavarese, cui mi lega un rapporto di stima sincera. Gli dissi che avrei potuto anche prendere in considerazione l’idea di andarmene. Poi il diesse mi suggerì di chiarire a quattr’occhi con il Mister. Da allora, si rinsaldò il nostro rapporto. Lui fu sincero e lo apprezzai tantissimo. Mi lanciò una sorta di sfida, che ovviamente accettai. Disse che non aveva preclusioni; se avessi meritato, avrei avuto il mio spazio. In cuor mio, sapevo che una volta messo a posto testa e fisico, mi sarei conquistato un posto e dato il mio contributo…”.

Il Napoli accumula un sensibile ritardo rispetto alle posizioni di vertice. Tuttavia, tra dicembre e gennaio infila una striscia di cinque vittorie consecutive. Recuperando 9 punti alla Reggina di Franco Colomba.

Facemmo comunque un miracolo. Senza stipendi, per mesi. La società latitava, neanche il caffè a Starace. Assieme al mister ci siamo calati nella realtà. Abbiamo lavorato con grande passione, provando a ricostruire il gruppo. De Canio provò a coinvolgere un po’ tutti. Ma alcuni si eliminarono da soli. Altri, invece, sposarono appieno la causa, nonostante ci fossero tante difficoltà. Il rammarico fu per il tempo sprecato nel cercare la giusta quadratura. Che inevitabilmente ci attardò in classifica rispetto alle quattro in testa”.

La rincorsa sfuma dopo un lunghissimo inseguimento. Decisivo il pareggio nello scontro diretto, il 5 Maggio 2002, al San Paolo. Il distacco tra partenopei e calabresi in classifica è solamente di due punti. Però l’1-1 spegne le residue speranze di promozione. Sul banco degli imputati finisce Rastelli, incapace di capitalizzare almeno un paio di occasioni nitidissime sotto rete.

Chissà, se avessimo vinto. Mi resta il ricordo di un San Paolo gremito, come lo avevo sognato da ragazzino. Quel giorno, però, ho capito cosa significa indossare la maglia azzurra!”.

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