Basterebbe rileggere le motivazioni con cui il Giudice Sportivo ha punito con una semplice ammenda lo Spezia per i soliti cori intonati in diversi momenti della partita da alcuni settori dello stadio Picco, durante la partita con il Napoli, per comprendere il mal funzionamento, nonchè la profonda decadenza, in cui da tempo è finito il calcio italiano.

Così, in puro burocratese, linguaggio particolarmente asettico, che tanto piace alle Istituzioni, sono state liquidate le vergognose esternazioni di chi ha offeso la città partenopea, e dileggiato i suoi tifosi, ironizzando pure sulla morte di Maradona: “10mila euro allo Spezia per avere suoi sostenitori, nel corso della gara, intonato cori beceri e offensivi nei confronti dei tifosi della squadra avversaria”. 

Al di là delle tradizionali scuse, puerili ed infantili, francamente incommentabili, di chi tenta l’ennesima arrampicata sugli specchi, negando l’evidenza, è proprio questa cornice di avversione che fa da corollario alle trasferte degli azzurri: un leitmotiv che si ripete “ogni maledetta domenica“. Come avrebbe detto coach Tony D’amato, interpretato superbamente da Al Pacino, nel capolavoro di Oliver Stone.

Insomma, nonostante Spalletti ed i suoi ragazzi stiano letteralmente volando, ci sono ben pochi motivi per essere felici. Almeno considerando quelle disfunzioni extra campo che affliggono la Serie A. Che però veicolano la sgradevole sensazione di un “Sistema” in stato di avanzata decomposizione.

È una situazione che ormai all’ombra del Vesuvio diamo tristemente per scontata. In fin dei conti all’orizzonte non c’è nulla di nuovo. Storicamente, seppur con disarmante puntualità, si ripresenta la sagra del cattivo gusto.

In ogni caso, vale la pena mettere in chiaro una cosa. Pura disonestà intellettuale spacciare il razzismo geografico per goliardate da curvaioli. Lecito, a questo punto, chiedersi se siano più deprimenti i grotteschi dispositivi di sentenza comminati dalla Giustizia Sportiva. Oppure la paura di affrontare veramente il problema, derubricandolo invece a ironico sfottò e poco altro.

Del resto, è difficile cambiare la cultura della Federazione. Raro trovare in altri paesi membri della Uefa dei profili istituzionali dal valore tanto ambiguo. Perennemente abbarbicati ai loro incarichi. Per alcuni, nella catena alimentare del Potere, meglio tapparsi le orecchie e far finta che vada tutto bene. Poichè il coraggio, talvolta, fa letteralmente a cazzotti con la volontà di rinunciare ad una bella poltrona.

Tuttavia, sarebbe lecito chiedersi a chi faccia comodo aver creato prima e alimentato adesso questo clima di livore e ostilità, capace di scavare un abisso talmente profondo da poter essere difficilmente colmato nel prossimo futuro. Probabilmente servirebbe un intervento della Politica, perchè qualsiasi forma di discriminazione è un problema di tutti. Non soltanto dei napoletani.

Ma cosa potremmo mai aspettarci dai sostenitori dell’autonomia differenziata…

In definitiva, appare evidente che comunque qualcosa di diverso stia avvenendo; non nella direzione sperata, ovviamente. Non mi riferisco quindi a irrealizzabili provvedimenti risolutivi. Bensì, al cambiamento negli equilibri di potere. Il Napoli in fuga solitaria in testa alla classifica rappresenta una benefica ventata di novità per l’italico pallone nel suo complesso.

Poco importa, dunque, se l’egoismo non riesca a mettere d’accordo la politica, parlamentare e calcistica, sul tema scottante dell’odio territoriale. Mentre esacerbate gli animi, aumentate il divario tra Nord e Sud, raccogliendo i frutti di una ideologia malata, la “Capolista se ne va…”.

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