La sensazione che Hirving Lozano sia un incompiuto, calcisticamente parlando, non è del tutto campata in aria. D’altronde, al netto della gestione Gattuso, chiusa con numeri decisamente interessanti, il rendimento a corrente alternata avuto da El Chucky nella sua esperienza con il Napoli ne testimoniano le evidenti difficoltà. Probabile che l’obbligo di dover dimostrare continuamente il suo valore, nonché giustificare l’investimento cospicuo fatto dalla società nell’estate 2019 per portarlo all’ombra del Vesuvio, ne abbia condizionato la serenità.
Eppure, nonostante qualche passaggio a vuoto di troppo, Spalletti insiste con il messicano, perché crede che possa sempre apportare qualcosa di importante in fase offensiva. Specialmente le volte in cui riesce a piegare la resistenza di difese basse e compatte, attraverso rapidità nello stretto e tecnica in velocità. Giocate che talvolta hanno indirizzato in modo tangibile lo sviluppo della manovra d’attacco partenopea.
Non a caso, anche in previsione della gara di domani sera, l’allenatore toscano tiene vivo il classico ballottaggio per una maglia da titolare tra Lozano e Politano.
Solitudine tattica e individualismo
La Cremonese non si può certo definire un avversario disponibile a confrontarsi alla pari con la capolista. Anzi, è immaginabile che Ballardini opti per una strategia orientata a lasciare lungamente il possesso al Napoli.
Inevitabile, dunque, che i padroni di casa cercheranno costantemente di dominare il gioco attraverso il tradizionale giropalla intenso e qualitativo. Uno stile assai organizzato, in cui forse l’esterno messicano trova arduo esprimersi compiutamente, lui che ama un calcio maggiormente avulso da vincoli.
Innegabile, infatti, che Lozano dia il meglio di sé quando può toccare tante volte il pallone. Essere coinvolto in ogni azione, ricevere lo scarico e poi puntare l’uomo. Se questa sorta di solitudine non viene gestita tatticamente, allora prende il sopravvento la sua parte peggiore. Quella inaccettabile per gli equilibri degli azzurri. Soprattutto in fase di non possesso.
Logorante assistere a scene in cui la squadra ha bisogno del suo contributo difensivo. Mentre il numero undici palesa una certa indolenza, scivolando pigramente sotto la linea della palla rispetto al resto dei compagni.
Ampiezza e qualità nell’1 vs 1
Ad oggi Lozano ha dimostrato di essere un offensive player sovradimensionato. Utile però a scardinare contesti iper-conservativi, in cui la grande densità di chi si difende crea linee talmente strette e corte tra i reparti, da sopperire alla mancanza di spazi centrali, esplorando l’ampiezza.
Uno scenario dove ovviamente il messicano si esalta, interpretando il ruolo alla maniera tipicamente sudamericana: attirando a sé il terzino, spaventandolo con finte e controfinte, libero di brutalizzare il dirimpettaio, in situazione di uno vs uno.
Infine, lasciarlo sul posto, con disarmante facilità e senza battere ciglio, grazie a quella tecnica da invasato, tutto stop and go e uomo contro uomo, che mostra quando accende i retrorazzi e aggredisce la profondità in conduzione, fino all’area avversaria.
Purtroppo gli risulta ancora complicato associarsi con il resto della squadra. Veicolando l’impressione in chi lo guarda di intendere il calcio alla stregua di quello praticato in strada: scevro da steccati tattici e compiti collettivi.
Insomma, piuttosto che rammaricarsi, pensando in cosa poteva trasformarsi Lozano se solo avesse avuto continuità, dobbiamo godercelo, prendendolo per quello che è. Uno che accelera e strappa; magari non perfettamente calato nei meccanismi di Spalletti. Nondimeno, veramente immarcabile quand’è in giornata.
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