Mai stato così decisivo Fabiàn Ruiz, da quando veste la maglia del Napoli. S’è preso il centrocampo sulle spalle, con una leadership silenziosa. Facendosi trovare con una certa puntualità anche in zona tiro.   

Forse lo spagnolo è davvero arrivato al crocevia della sua carriera, finalmente consapevole dei propri mezzi. E pure di qualche limite, sul quale, però, sta lavorando. Con l’evidente intenzione di porvi rimedio.

Appare evidente quanto Luciano Spalletti sia stato impattante sul profondo cambiamento dell’ex Betis Siviglia.

Nonostante sia tutt’altro che il classico pivote, la contingenza legata agli infortuni ha suggerito all’allenatore toscano di responsabilizzare oltremodo Fabiàn Ruiz, affidandogli la regia della squadra partenopea.

E lui, pur essendo una mezz’ala tradizionale, istintivamente portato alla giocata estemporanea, magari accecante per bellezza del gesto tecnico. Nondimeno, pericolosissima, se fatta in porzioni di campo vicine alla propria porta, piuttosto che in situazioni di risalita con la palla dal basso, s’è calato progressivamente nella parte.

L’arte di pensare calcio con naturalezza

Finora il talento dello spagnolo s’è palesato solo a tratti. Una sorta di solitudine creativa, che spesso attanaglia il genio incompreso.  

Probabilmente perché ha preferito sempre esaltare la componente egocentrica del suo modo di fare calcio. Piuttosto che accantonarla, a favore di una visione più ampia del ruolo.

Una interpretazione funzionale a dare maggiore forma e sostanza alla squadra. Dunque, non più parte integrante del sistema, ma fulcro nevralgico. Che ne scandisce tempi e ritmi di gioco.

Prima che le assenze di Demme e Lobotka costringessero Fabiàn Ruiz ad evolversi in un magnifico centrale di centrocampo, sembrava destinato a manifestare la bellezza accecante del suo sinistro nella posizione di box-to-box.  

Ovvero, di imporre alla partita l’elefantiaco talento di cui è titolare, indipendentemente dalla porzione di campo occupata alla partenza dell’azione di possesso.

Cambiandosi con il mediano, per esercitare la sua influenza al momento della costruzione. O entrando nella trequarti altrui, strappando palla al piede, in conduzione.

Con Spalletti è un altro Fabiàn Ruiz

Il rendimento tenuto finora da Fabiàn Ruiz rappresenta l’esempio tangibile di come la fiducia garantita dalle scelte tecnico-tattiche del nuovo allenatore siano state in grado di trasformare letteralmente il giocatore.

In questo senso, per meccanica ed esecuzione, la rete segnata alla Sampdoria, molto simile a quella rifilata al Genoa, fotografano meglio di qualsiasi altra descrizione la classe cristallina e primordiale dello spagnolo.

Efficace l’interno collo con cui ha stupito Sirigu, mettendo l’attrezzo là dove l’estremo difensore del Grifone, inutilmente proteso in tuffo, non poteva certamente arrivare.

Un vero colpo da biliardo, invece, quello che fulmina Audero sul palo lungo: tra le varie opzioni possibili, ovviamente, la più elegante.   

In entrambe le circostanze, si deve apprezzare la qualità dello stop: un controllo orientato, che permette di battere a rete indisturbato, togliendo tempo e spazio per l’intervento, tanto al diretto avversario, quanto al portiere.

Quasi che lo spagnolo intuisse mentalmente cosa accadrà, da lì a qualche istante: immaginando il gesto tecnico in ogni suo fotogramma, per rimanere costantemente reattivo e coordinato.

La centralità dello spagnolo nel Napoli

Insomma, complici le assenze, Spalleti ha consegnato le chiavi del Napoli a Fabiàn Ruiz. Che dal canto suo pare cominci a pensare e muoversi, con o senza palla, veramente come un metodista.

Producendo e sviluppando gioco a seconda della necessità, con passaggi conservativi e giocate maggiormente azzardate.  

Ecco perché il destino della squadra partenopea è intrecciato indissolubilmente all’evoluzione dello spagnolo, da mezz’ala a “tuttocampista”.

Una progressione che gli permetterebbe, approfondendo quegli aspetti del suo calcio in passato manchevoli, di essere più incisivo e continuo all’interno della stessa partita.